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Due vetrate in Basilica del Trionfale presentano e invocano san Giuseppe 

di Lorenzo Cappelletti

Si può ben dire che le vetrate presenti nella Basilica di San Giuseppe al Trionfale non solo ne caratterizzano l’estetica, ma offrono pure, lungo le due navate minori, un’interessante presentazione della figura di san Giuseppe. Nell’annata 2022, su La Santa Crociata ci dedicheremo all’illustrazione di queste ultime, che ammontano in totale a 15, tralasciando le 18 vetrate a carattere puramente decorativo presenti nel registro superiore della navata centrale e altre 9 di varia tematica sulle quali ritorneremo magari in altra occasione.

L’analisi delle vetrate dedicate a san Giuseppe ci aiuterà a ripercorrere l’evoluzione delle forme dell’arte cristiana lungo un mezzo secolo circa, ma soprattutto la storia del santo Patrono della Basilica. Si tratta, infatti, di vetrate istoriate, contenenti cioè episodi (“storie”) della vita di san Giuseppe così come ci sono stati trasmessi dalla tradizione scritturistica e iconografica.

Cominciamo la rassegna con due rappresentazioni di san Giuseppe in figura stante, che non illustrano propriamente episodi della sua vita, ma costituiscono una sintetica presentazione e invocazione della sua santità. Si può dire che queste due vetrate aprono e chiudono tanto cronologicamente che spazialmente la rassegna.

Descriviamole.

La prima (cm 454 x 177), che attualmente si trova in sacrestia ma che probabilmente stava in origine sulla parete absidale della Basilica, è la più antica di tutte le vetrate giuseppine. Ha un vago sapore liberty. Fu realizzata nel 1927 dalla Bottega d’arte vetraria Giuliani  e offerta in memoria di Gerardo e Doralice Lucarelli dalla loro sorella Egle (nel 1967, dopo il trasferimento dalla prima collocazione, è stata restaurata a cura dei figli di costei). Presenta san Giuseppe come Ecclesiae Patronus. Tale titolo campeggia ai piedi del Santo su una specie di basamento. La figura di san Giuseppe, infatti, è immaginata quasi come una statua policroma all’interno di una nicchia dotata di abside e cornice floreale, dove fra i gigli compaiono, entro tondi, 8 busti di angeli.

Al di sopra del finto basamento, san Giuseppe, con sandali ai piedi e uno strano bastone fiorito in mano, sembra poggiare a tutta prima su marroni zolle di terra. In realtà si tratta di nubi, che prendono in alto le fattezze di altri 8 angeli in una caratteristica coincidenza del cielo fisico con quello spirituale, come spesso si vede nell’arte rinascimentale (in Raffaello, ad esempio). La santità di Giuseppe non è segnalata soltanto dal cielo che lo circonda, ma anche dal biancore del nimbo e della “mandorla” che lo avvolgono (anzi, lo strano colore del cielo — una “terra di Siena bruciata” — serve proprio a far risaltare tale biancore), nonché da vesti regali: manto dorato, recante una significativa decorazione a croci, e purpurea veste gemmata.

L’elemento iconografico più interessante è il bastone fiorito. Ebbene, questo emblema, che spesso caratterizza san Giuseppe (lo si ritrova, per esempio, ampiamente nei celebri affreschi di Giotto della Cappella degli Scrovegni a Padova), proviene dai racconti dei Vangeli apocrifi, che rispetto ai quattro Vangeli canonici parlano molto più ampiamente, ma anche favolosamente, di Giuseppe. Come Aronne nel libro dei Numeri (17,16-26), lì si racconta che Giuseppe sarebbe stato indicato come il prescelto da Dio proprio grazie alla prodigiosa fioritura del suo bastone. A dire che Giuseppe non è un legno secco, incapace di germogliare, ma al contrario è proprio quel discendente del padre di David, Iesse, attraverso cui si realizza la promessa profetica di Isaia 11,1: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici». Se il racconto dei Vangeli apocrifi ha tratti favolosi, la realtà che sottintende è conforme alla fede della Chiesa e così il simbolo del bastone fiorito, oltreché ad Aronne, fu assegnato tradizionalmente a san Giuseppe.

La seconda vetrata raffigurante san Giuseppe in figura stante (cm 220 x 130), senza più alcun bastone fiorito, è quella sovrastante la piccola cappella all’inizio della navata sinistra della Basilica che ne accoglie la statua. Pur non essendo datata, in base allo stile si potrebbe assegnare agli anni Sessanta/Settanta del secolo scorso; e potrebbe essere opera della stessa Bottega Giuliani, dove continuavano a operare le figlie di Giulio Cesare, Maria Letizia e Laura Giuliani.

Si tratta di opera che ha alcuni tratti compositivi e iconografici simili all’altra, che sicuramente è stata tenuta presente tanto nei colori del manto (dorato) e della veste (purpurea) di san Giuseppe, (volutamente più poveri di quelli indossati dal Santo nella vetrata più antica), quanto nell’arcuata cornice floreale dove campeggiano dei gigli. San Giuseppe, però, qui sfonda il contorno della cornice, sovrastando in figura gigantesca la cupola di S. Pietro (simbolo della Chiesa che egli protegge), e non è presentato, ma invocato attraverso nove delle litanie a lui dedicate; innanzitutto quella, scritta su un cartiglio retto da due angeli inginocchiati ai suoi piedi: Sancte Joseph protector S[anctae] Ecclesiae o[ra] p[ro] n[obis]; e poi, altre, scritte in cartigli intrecciati coi gigli della cornice: Custos virginum (Custode dei vergini); Exemplar opificum (Modello dei lavoratori); Amator paupertatis (Amante della povertà); Speculum patientiae (Specchio di pazienza); Familiarum columen (Sostegno delle famiglie); Solatium miserorum (Consolazione dei miseri); Spes aegrotantium (Speranza dei malati);  Patrone morientium (Patrono dei morenti).

Questa seconda vetrata perorante l’intercessione di san Giuseppe, a cui il Santo risponde con un gesto di generosa elargizione, vuole essere più scarna e angolosa dell’altra; e lo è, oltre che per lo stile, grazie anche a uno schema compositivo basato sul numero tre. Tre sono infatti gli angeli, tre e di tre diversi colori le cornici concentriche del nimbo, nove i cartigli delle litanie. Diversa iconografia e diversa sensibilità artistica.