Cronaca di una festa di popolo
di Nicola Parisi
Il nome Giuseppe, già presente nella famiglia di Giacobbe, significa “colui che fa crescere”, colui che incrementa e da’ robustezza alla vita. Il nome di San Giuseppe come ogni anno è veleggiato nel quartiere Trionfale tentando i riscoprire non soltanto la festa religiosa ma recuperare tradizioni antiche di questo quartiere di Roma che, in altri tempi, si inondava di odori e fragranze delle frittelle e richiamava da tutta Roma attorno a “San Giuseppe frittellaro” quasi fosse un’anticipazione primaverile della festa de’ noantri che si celebra a Trastevere in occasione della festa della Madonna del Carmine.
Quest’anno il fuoco dell’iniziativa popolare del Quartiere Trionfale, fissato per la domenica 18 marzo, è stato spento sul nascere da una pioggia torrenziale
Come ogni anno per la festa liturgica di San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, la comunità parrocchiale ha organizzato una serie di incontri socio-culturali e religiosi per accentuare la spiritualità di San Giuseppe, ponendolo al centro della comunità cristiana come padre ed educatore.
Tutte le iniziative ludiche e giocose come quelle pastorali, avevano l’obiettivo di porre al centro delle iniziative il compito educativo dei padri.
All’Oratorio si è accentuato anche questo aspetto “pellegrinante” dell’azione educativa, privilegiando il movimento sia con una biciclettata amichevole per le vie del quartiere, come una “bagnata” maratona.
È da sottolineare che la spiritualità di san Giuseppe è quella di essere in costante marcia verso gli obiettivi che la vita e le circostanze ci offrono. Da Nazareth a Betlemme; da Betlemme in Egitto. Dall’Egitto di ritorno a Nazareth. A Gesù, Giuseppe ha insegnato a camminare, a correre, a giocare, a lavorare. Insieme, ogni anno sono andati in pellegrinaggio a Gerusalemme; e non erano pochi passi, ma decine e decine di chilometri a piedi. L’educazione, lo dice la parole stessa, “è uscire” da sé per incontrare la vita, le persone, i sentimenti, le aspirazione.
Ogni mattina, quando il bambino (e non solo i bambini) apre gli occhi, idealmente gli si apre anche la porta per uscire a fare esperienza e a fare passare nella sua vita gli insegnamenti che riceve, valutandoli e rivestendoli con l’ardore della sua giovinezza. I semi di una buona educazione non producono mai frutti selvatici.
Oggi spesso si parla di una «generazione senza padre» per tanti motivi e per situazioni spiacevoli, ma anche nelle famiglie risparmiate dai traumi delle separazioni o altro, permane un disinteresse dei papà rispetto all’educazione familiare, civica, scolastica, religiosa dei figli. Qualche volta, ma non sempre, si salva l’interesse per le attività sportive nelle quali spesso la passione del padre proietta nel figlio le aspirazione (deluse) dei suoi anni giovanili.
Anche quest’anno, pur con la pioggia lo spazio educativo dell’Oratorio san Giuseppe ha intessuto relazioni, suscitato nuove amicizie, ha rafforzato quelle “antiche” e ha generato nuovi impulsi per progetti di vita adattati alle nuove generazioni, perché non possiamo rivestire dei colori del tramonto le luci dell’aurora.
Sul versante spirituale la nostra Pia Unione di San Giuseppe sul sito www.piaunionedeltransito.org per nove giorni il Direttore ha accompagnato i visitatori del sito con una breve riflessione su San Giuseppe, messaggi illustrati con suggestive immagini.
La comunità parrocchiale ha programmato con impegno, in particolare, la fase terminale del triduo in preparazione alla festa del Patrono puntando sulla presenza del padre nella fase educativa dei figli alla luce dell’enciclica Amoris Laetitia.
Il primo giorno del triduo il tema è stato «Nella bottega di san Giuseppe» con la testimonianza di alcuni lavoratori. L’arcivescovo Giorgio Corbellini, direttore dell’Ufficio del lavoro della Città del Vaticano, nell’omelia della celebrazione eucaristica, parlando del lavoro nella Sacra Scrittura, ha sottolineato il lavoro di Dio nella creazione e come Gesù sia cresciuto e sia stato educato al lavoro. Egli ha poi evidenziato gli aspetti della dignità e della preziosità del lavoro nella realizzazione personale dell'individuo e come questi aspetti si riflettano nella dimensione familiare e della società.
Il secondo giorno è stato dedicato alla famiglia «fabbrica dell’uomo». Il tempo delle riflessione è stato occupato da due coppie di sposi, cui ha fatto eco l’omelia dell’arcivescovo Paolo Lojudice, vescovo ausiliare del settore Sud della diocesi di Roma, il quale ha sottolineato come «San Giuseppe ha donato tutto se stesso al figlio di Dio insegnando e portandolo alla maturità della vita. Così oggi ci sono madri e padri che accompagnano educando i loro figli con il loro sacrificio -come Maria e Giuseppe- ai valori della vita. La scelta di amare fino in fondo con gratuità, implica sacrificio».
La vigilia della festa, contrassegnata dallo slogan evangelico «Vieni, servo buono e fedele», dopo la consueta recita del Sacro Manto in onore di San Giuseppe, Paola Binetti del “fine vita” e delle nuove norme dello Stato Italiano entrate in vigore recentemente. Monsignor Paolo Selvadagi, arcivescovo ausiliare del settore di Roma-Trionfale nell’omelia ha parlato ispirandosi alle letture della liturgia domenicale ha suggerito di far attenzione alle domande che la nostra coscienza ci pone nei confronti di Gesù: conoscerlo, capirlo e seguirlo. L’arcivescovo ha concluso portando l'attenzione dei fedeli su due immagini: «Il chicco di grano e la Croce; il primo porta alla terra con le sue radici ma poi innalza i germogli della vita verso il cielo, la Croce innalza al cielo. Ha richiamato poi il passo dell'Esodo e il commentato di Gesù stesso quando afferma: «Quando sarò innalzato tra cielo e terra attirerò tutti a me».
Il freddo e la pioggia di quei giorni non hanno smentito il detto del «marzo pazzerello», così abbiamo visto poco cielo azzurro e tante nuvole minacciose sino a qualche minuto prima che si decidesse di far uscire la statua d san Giuseppe per le vie del Quartiere. Il papà terreno di Gesù non ha voluto deludere i tanti fedeli che da ogni parte di Roma e del Lazio si erano incamminati per raggiungere sia la Basilica come la sede centrale della Pia Unione. Puntuale come un appuntamento tanto desiderato affacciatosi la statua di san Giuseppe alla porta della basilica è stata baciata dal sole che ci ha accompagnato lungo tutto il percorso della processione. Anche Santa Teresa era un po’ imbronciata con noi per la poca fede anche nei confronti delle sue parole quando affermava: «Qualunque grazia tu chieda a San Giuseppe egli la concederà».
Gioiosamente la processione si è avviata accompagnata dalla Banda della Gendarmeria Vaticana in alta uniforme, dai canti, dalle preghiere e dall’affetto dei fedeli che seguivano la processione dietro la statua o accompagnando la statua dai marciapiedi.
Presiedeva la processione il giovane arcivescovo mons. Paolo Ricciardi, incaricato per la diocesi di Roma della pastorale sanitaria. Lungo il percorso di Via Adrea Doria, per i Cento anni della fine dell’«inutile strage», che fu la Prima Guerra mondiale, la processione ha sostato davanti alla lapide dei caduti. Il vescovo ha fatto pregare per i giovani militari e le loro famiglie.
Al termine della processione, è seguita la solenne celebrazione della santa Messa. Il celebrante, l’arcivescovo Paolo, anch’egli ha preso spunto dal sole che all’improvviso ci ha salutati inondando l’animo di serenità e poi ha commentato la pagina del Vangelo che narrava l’annuncio dell’arcangelo Gabriele alla Vergine. «Se Dio è il sole - ha detto mons. Ricciardi -, Maria è la finestra spalancata attraverso la quale nella nostra vita entra il sole di Dio. San Giuseppe costituisce i cardini di questa finestra». Allacciandosi poi all'altro Giuseppe (figlio di Giacobbe veduto dai fratelli che lo ha preceduto in terra d’Egitto), l’arcivescovo ha commentato la quotidianità dei due Giuseppe: il primo a servizio del futuro popolo d Dio e il secondo al servizio del Figlio di Dio, fatto carne e consegnato alla sua protezione terrena. Infine ha inviato i fedeli presenti a pregare il Santo affinché estenda la sua protezione sulla quotidianità di ogni papà e della sua famiglia.
Alle 18.30 il direttore della Pia Unione ha presieduto l’Eucaristia per i fedeli che dopo una giornata di lavoro hanno partecipato alla lode a Dio. Don Mario nell’omelia ha esortato a esplorare il “silenzio” di san Giuseppe che non possiamo confondere come mutismo o disinteresse. Il silenzio di san Giuseppe è paragonabile al colore bianco, colore che, escludendo il nero, possiede la gamma di tutti colori dell’arcobaleno, simbolo di una vita pacificata.
Al termine delle funzioni religiose tutti a visitare la sede della Pia Unione, una capatina alla Pesca di beneficenza e poi all’Oratorio per assistere ai giochi dei ragazzi e alla classica scalata della “cuccagna” e alla fine arrivato il buio tutti con il “naso all’insu” per ammirare il cielo che si è riempito della luce colorata dei fuochi d’artificio.