di don Lorenzo Cappelleti
Proseguendo a illustrare gli affreschi di Silvio Consadori nella cappella del Sacro Cuore della Basilica di san Giuseppe al Trionfale, in questo numero de La Santa Crociata ci dedicheremo ai due riquadri che si fronteggiano al piano più alto delle pareti della cappella, che raffigurano rispettivamente l’incontro di Gesù con la Samaritana al pozzo di Giacobbe (cfr. Gv 4, 1-42) e la consegna a Pietro delle chiavi del Regno dei cieli (cfr. Mt 16, 13-20).
Chi ha familiarità con i due testi evangelici, subito si accorge che le due scene sono state costruite con grande rispetto non tanto della lettera, quanto dello spirito di essi. Infatti alcuni particolari si discostano dal testo. Simbolico del bisogno di acqua e non realistico, ad esempio, è il deserto (che in effetti attorno a Samaria non c’è); così come simbolico di Gesù che dà acqua viva, e non quella naturale, è il suo stare in piedi, contrariamente a Gv 4, 6, dove si legge che «affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo». C’è un altro particolare che non costituisce una citazione evangelica e su cui vorremmo richiamare l’attenzione, questa volta nella “Consegna delle chiavi”: è la figura di donna, di foggia moderna, che chiude il gruppo dei discepoli alle spalle di Gesù. Questa donna, infatti, seduta con un bimbo in braccio e protetta dal proprio uomo che le poggia amorevolmente la mano sulla spalla destra, è con tutta evidenza una libera aggiunta del pittore, il quale ha voluto così inserire anche una famiglia contemporanea fra i discepoli del Signore sui quali si estende l’autorità di Pietro. Pensiamo si tratti non tanto di un richiamo alla questione del divorzio, posta in Mt 19, 3-9, bensì di un rimando di Consadori (legato a san Paolo VI – non dimentichiamolo – da personali vincoli di prossimità e devozione) all’Humanae vitae (1968), l’enciclica promulgata pochi anni prima della realizzazione degli affreschi (1971) che suscitò (e ancora suscita) tanto rumore.
Se si passa dai particolari alla costruzione delle due scene (quella che Vasari avrebbe chiamato “l’invenzione”), si vede, come dicevamo, quanto essa sia conforme allo spirito dei racconti evangelici: la scena dell’incontro con la Samaritana è giustamente tutta giocata su due soli personaggi: Gesù e la donna, a esprimere quel loro colloquio dove si apre il cuore di entrambi, stranieri fino a quel momento l’uno all’altra, come si legge nel Vangelo di Giovanni. E altrettanto conforme al Vangelo di Matteo è “l’invenzione” della “Consegna delle chiavi”: pur mettendo anch’essa al centro due figure, Gesù e Simon Pietro, è però soprattutto scena solenne e corale, con quegli otto personaggi schierati in primo piano come destinatari dell’autorità conferita a Pietro da Gesù.
Se inoltre si fa attenzione alla gestualità dei personaggi principali delle due scene, ci si accorge di un’altra significativa distinzione fra di esse. Gesù e la donna, infatti, sono mostrati mentre al contempo danno e ricevono (sant’Agostino ha illustrato forse meglio di ogni altro il “gioco” del dare e del ricevere, su due piani diversi, fra Gesù e la Samaritana), mentre, nella scena della “Consegna”, Pietro, che sta eretto come Gesù e lo guarda dritto negli occhi perché ne porta l’autorità, è però semplicemente in atto di ricevere: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). La Chiesa è sua, del Signore: «Ecclesiam suam», verrebbe da dire citando l’espressione che san Paolo VI volle mettere in capo, giusto sessant’anni fa (agosto 1964), a un’altra enciclica, la prima del suo pontificato.