“Custodire la terra” e la pedagogia guanelliana
di Michele Gatta
La Pandemia dei mesi scorsi ha risvegliato da un serpeggiante letargo alcune minute creature apparentemente sepolte nel sepolcro del passato. La natura ha ritrovato un habitat più confacente al suo istinto di conservazione. I nostri occhi hanno rivisto volatili dalle piume sgargianti, fiori di campo sorridenti come bambini al gioco.
La natura è come un “classico” che Dio ha consegnato ai nostri occhi per vedere il ricamo che egli ci ha consegnato da ammirare e anche da conservare e la natura «non finisce mai di dire quello che sa dire» a noi abitanti del pianeta terra. Ad ogni ora del giorno la luce ci fa scoprire il nuovo che ravviva la vita. Anche se quest’anno la stagione estiva è un po’ mortificata, tuttavia ci abbraccia con la luce di giornate allungate, ci avvolge con i profumi dimenticati.
All’inizio del mese di giugno, pur con il sapore amaro dell’incertezza sul futuro del pianeta, le Nazioni hanno invitato ad una Giornata di riflessione sul nostro modo di “custodire la terra”.
San Luigi Guanella, nato tra le montagne della Valle Spluga, aveva nel suo dna un rapporto filiale con la natura. Anche da giovane chierico coltivava la passione per le erbe medicinali. Nella sua pedagogia per le persone con handicap, egli coltivava l’uso delle terapia occupazionale soprattutto nel rapporto con la terra.
Nel mese di agosto del 1915, un paio di mesi prima di morire, per la festa del ferragosto si recò per qualche giorno in Svizzera, nel Canton Grigioni, in Val Calanca. In quei giorni, avvertendo i disagi dell’età, scrisse un suo saluto alla Valle con un tono di soffusa nostalgia per i ricordi registrati nella sua memoria.
Così scriveva: «Addio, Valle Calanca! Tu mi hai aperto le tue anguste porte e mi hai introdotto fra le gole e fra gli scogli, lungo il fiume che prende nome da te; mi hai fatto vedere le ricchezze delle tue boscaglie, la poesia dei tuoi verdi prati, tutti a ripido pendio, e mi hai aperto davanti allo sguardo i feraci pascoli dei tuoi estesi monti; mi hai fatto gustare la taciturnità silenziosa della tua stagione estiva e mi hai aperto la mente a scorgere e ad ammirare in te la maestà di Dio che manifesta “in montibus” la sublimità sua, la sua bontà, la sua provvidenza ammirabile. [...] Addio, Valle Calanca! Fatti amare come tu meriti, e che i figli del tuo seno non siano facili a staccarsi da te e permettere che una madre gloriosa diminuisca nei suoi figlioli e lasciare tramutarsi in terreno sterile la tua ferace fecondità. Non ti dico pertanto addio, ma arrivederci!».