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La figura di don Giancarlo Pravettoni ricordata a 11 anni dalla morte

di Bruno Cappato

Ecco, sono già trascorsi 11 anni dalla morte di don Giancarlo Pravettoni. Gli fui vicino con altri amici fraterni fino all'ultimo giorno, a Mantegazza, quando il Signore chiamò alla vita eterna il suo servo amato, dopo un lungo percorso di malattia durante il quale era stato assistito dai suoi familiari. Sul tavolo era ancora acceso il computer al quale lavorava incessantemente per completare il suo libro, la storia della sua spiritualità, del suo cuore, dal titolo "Oltre il visibile". Morì il 16 marzo 2005. La malattia aveva roso il suo corpo minuto, senza tuttavia essere riuscita a intaccare il suo sguardo luminoso, il suo cuore, il suo animo. Don Giancarlo, animato da autentico spirito guanelliano, ha speso tanta parte della sua missione di fede per il Polesine.

E’ lì, infatti, che ha creato il gruppo inter-parrocchiale dei giovani che si ispiravano alla spiritualità di don Guanella; e sempre lì ha organizzato numerosi momenti di spiritualità loro rivolti proprio a quei ragazzi. Partiva da Roma periodicamente, in treno o in aereo, per venire appositamente in Polesine a seguire questi ragazzi: ècosì che molti di noi hanno potuto conoscerlo e imparare a stimarlo. Lo abbiamo intervistato più volte sia a Radio Kolbe sia sul settimanale diocesano, e in quelle occasioni abbiamo colto tutta la grandezza e la profondità di questo prete interamente dedito alla carità, dotato di una intelligenza e una apertura al mondo che non conoscevano confini e lo contraddistinguevano in modo straordinario. E’ così che lo ricordiamo: dolce e forte, appassionato della missione verso i poveri e i sofferenti, capace, anche nel periodo ultimo della sua dolorosissima malattia, di non tralasciare mai nulla della sua vita di prete e del suo impegno pastorale. Vicino a lui, nei momenti dolorosi del male, in ospedale a Roma e a Milano, ho raccolto la sua lezione sacerdotale ed è stato per me qualcosa di straordinario. Un dono, un messaggio preziosissimo, che dopo la sua morteho ascoltato riecheggiare a Mostar, nella devastata terra di Bosnia, alla Casa Sacra Famiglia, nata grande proprio grazie all’immenso amore per i poveri e alla passione per una vita di rispetto e di pace che don Giancarlo nutriva. E non è un caso, dunque, se nel cortile della casa di Mostar una fontana in pietra bianca ricordi la figura di don Giancarlo. La sua immagine è colta nell’atto di donare con una mano, mentrel'altra è poggiata su di una croce, come a indicare la fonte, l'origine vera di quel suo continuo donare. Chi lo conosceva sa che egli era costantemente preoccupato della evangelizzazione e così, con uno stile tutto suo, alla sera molte volte raggiungeva il Polesine tramite il telefono, quasi a voler conservare un dialogo costante, giorno per giorno con “i suoi ragazzi”. Li raggiungeva via telefono attraverso di me, nel Polesine, e, attraverso quelle brevi-lunghe chiamate, riusciva a comunicare loro tutto l'affetto e la forza generosa di carità che lo animavano. Come dimenticare quelle telefonate che iniziavano sempre con la stessa espressione: «Ehi, gioventù! Come stiamo?». Più volte mi chiese di accompagnarlo nei suoi lunghi viaggi in America Latina. Non potei seguirlo, ma i suoi racconti e la passione che profondeva affinché i bambini, i ragazzi, le persone di ogni età fossero amate e curate con la dignità che si deve a ogni figlio di Dio, era un messaggio che affascinava. Coraggioso nella malattia e nella vita, intraprese dei progetti che nessuno avrebbe potuto immaginare. La sua figura luminosa non l'abbiamo dimenticata. Rimane viva e presente tra noi e dentro di noi. Il don Giancarlo Pravettoni che - come ci raccontava - da bambino girava in bicicletta intorno a casa dicendo a tutti «diventerò prete, sì lo diventerò!» , resta infatti un esempio e un dono grande per tutti coloro che lo hanno conosciuto, e a noi continua a recare un prezioso incoraggiamento, specie in tempi così difficili, convulsi e attraversati da violenze e terrore.