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80° della morte del venerabile Aurelio Bacciarini

di Mario Carrera, postulatore della Causa di Beatificazione

«O santa croce del vescovo, ignorata dal mondo, e nota solo a chi assorbe l’amaro assenzio che stilla dal suo tronco, io ti abbraccio una volta ancora e t’innalzo al cielo, affinché, per la virtù della croce di Gesù, tu sii pegno di salvezza per il popolo che Dio mi ha affidato». In queste parole pronunciate all’entrata in diocesi di Lugano dal venerabile Aurelio Bacciarini vibra la passione di quest’uomo che assume il ruolo del buon pastore e prende sulle sue fragili spalle la cura del suo gregge.

 Il cardinal Charles Journet, di cui ricorre quest’anno il quarantesimo della morte, commentando queste espressioni, ha scritto che Bacciarini, nella sua vita travagliata dalle frequenti malattie e dalle fatiche del governo della grande famiglia diocesana, «si è fatto modello del suo gregge. Egli ha camminato avanti al suo popolo con la tenerezza del suo cuore, trovando la parola semplice, pratica e luminosa da dire a ciascuno, sperando, aspettando e mendicando da coloro che lo circondavano e che gli erano affidati, qualche risposta di amore, che potesse salvarli e così far contento il cuore di Dio».

Il peso di una parola scritta o detta acquista valore dall’autorevolezza della persona che la pronuncia. Il cardinal Journet non solo è stato presidente della conferenza episcopale svizzera, fu un grande teologo e amico di Jacques Maritain; papa Montini non solo lo ebbe come consulente di fiducia, ma lo onorò della sua amicizia. Charles Journet fu uno studioso attento al grande patrimonio storico della santità della Chiesa ed è stato definito «uno dei ricercatori di ecclesiologia più equilibrati e, soprannaturalmente, acuti del XX secolo».

Il cardinale svizzero ha dichiarato che dagli scritti di Bacciarini «traspare un’anima limpida e luminosa di un servitore datosi totalmente a Dio senza reticenze, nel quale si sono conservati, approfonditi dalle prove della vita, i doni della freschezza e della purezza dell’infanzia con la voglia di comunicare le cose del cielo che riempivano il suo cuore». Sempre il cardinale Journet riferiva che nel testamento del Bacciarini, scritto nella clinica Theodosianum di Zurigo nel 1925, le parole ricche e più commoventi le ha ritrovate con il medesimo accento e sensibilità nel testamento di papa Giovanni XXIII. Fede semplice, genuina in un’anima innamorata di Dio.

Prima di un cardinale teologo di squisite qualità umane e spirituali, se ne era accorto don Guanella che, in una sua corrispondenza con un prelato romano, scriveva: «La Provvidenza lo scorso anno mi ha inviato uno specchio di bontà e di prudenza e di attitudine nel dottore teologo Aurelio Bacciarini, il qual essendo ancora di buona età, perfezionerà con me l’opera dei due istituti» delle Figlie di santa Maria della Provvidenza e dei Servi della carità. Da subito don Guanella si accorge di queste affinità elettive e lo associa alle sue responsabilità di fondatore. Don Aurelio non delude le aspettative del maestro e inizia il suo apprendistato per essere pronto alla morte del fondatore, avvenuta nel 1915, a traghettare la nascente Congregazione verso un’ordinata e codificata normativa.

Don Guanella gli aveva affidato da subito il futuro della Congregazione con la responsabilità educativa degli aspiranti alla vita religiosa, sia i chierici come i numerosi fratelli e di novizi. Bacciarini, praticamente, era divenuto il direttore spirituale di tutta la Congregazione. Un ruolo che avrebbe continuato anche negli anni del suo ministero episcopale a Lugano. Chiamato da Benedetto XV a reggere la diocesi di Lugano nel gennaio 1917, Bacciarini rimase superiore generale dei Servi della carità sino al 1924. Dall’eternità Dio sogna il futuro di ogni uomo Il poeta Charles Peguy ha scritto che «Niente è più misterioso di silenziose preparazioni che attendono l’uomo alla soglia di ogni vita. Tutto è giocato prima di raggiungere i dodici anni». Sensibilità, carattere, passioni e ideali acquistano spessore già dal grembo materno. Possiamo dire che il respiro spesso affannoso dei poveri era sin dall’infanzia il respiro di Aurelio.

La povertà prima per nascita, tanto che il suo parroco lo chiamava «figlio della Provvidenza», e poi per scelta nel seguire Gesù nelle beatitudini evangeliche. La stella polare che ha guidato Bacciarini nel governo della diocesi è stato il popolo segnato dal disagio della povertà. La sua sensibilità naturale, arricchita dall’esperienza guanelliana, per i poveri era entrata nelle sue ossa e da vescovo aveva rinsaldato un’alleanza con il suo passato da pastorello in una remota valle ticinese, la Val Verzasca. Orfano da bambino, il padre, uomo di grande fede, aveva lasciato sulle spalle della moglie una numerosa famiglia.

Per questo la condizione disagiata della povertà era diventata una scelta di vita sia da prete come da vescovo. Egli amava essere accanto alla gente povera e a loro predicava la beatitudine della povertà a imitazione di Gesù. Questa povertà la praticava nella vita quotidiana, ma anche nei grandi progetti pastorali creando dei centri di assistenza e di soccorso per orfani, case della carità per gli anziani, un sanatorio per i bambini ammalati di TBC, una malattia figlia della povertà. Nel marzo scorso, Papa Francesco, in occasione dell’anniversario della sua elezione a sommo Pontefice della Chiesa cattolica, ha voluto pranzare con centocinquanta poveri di Roma. Monsignor Bacciarini, nel 1922, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale ha ospitato in episcopio ben cento poveri per un pranzo giubilare.

Per una diocesi, modesta come numero di abitanti, non erano pochi e indicano una povertà diffusa. Nella festa di sant’Agnese, il 21 gennaio 1917, nella chiesa di san Giuseppe al Trionfale, Aurelio Bacciarini riceveva l’ordinazione episcopale; in quella circostanza ha scritto la prima lettera al popolo del Canton Ticino, confessando che avrebbe «preferito vivere e morire nell’ultimo ricovero di don Guanella, dove più sicuro è il sentiero dell’eternità, perché è fatto di povertà e umiltà. […] Non dovete credere che il sentimento intimo della mia indegnità e insufficienza affievolisca in me la coscienza del dovere, il pensiero di fede fa tacere in me ogni senso di timidezza e incertezza e m’infonde un coraggio sereno e forte che il mondo ignora».

È stata la forza misteriosa che nasce da Dio che gli ha permesso di offrirsi come sagace lavoratore nella vigna del Signore e consumare i suoi giorni con una forte testimonianza di fede che rende curiosa ogni anima che è alla ricerca del Volto di Dio nel prossimo sofferente. Monsignor Bacciarini ha chiuso la sua vita terrena, il 27 giugno 1935, ponendo la sua firma sulla pergamena con la quale si rendeva ufficiale la consacrazione di migliaia di famiglie e l’intera diocesi al Cuore di Gesù. Il venerabile Aurelio sentiva la nostalgia dell’eterno e pose il sigillo su quella pergamena come garanzia di trovare in Gesù per lui e per il suo popolo un cuore misericordioso.