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«Storia di un padre e un figlio dove il bene aiuta a fare il bene»

di Michele Gatta

«Adesso tocca a te», scrive Luciano Abruzzi, stimato neurologo di Cremona, poco prima di essere ricoverato in terapia intensiva a causa del Covid. È un messaggio scritto a suo figlio, Dario, che poco prima gli aveva inviato uno screenshot dell’abilitazione alla professione medica. 

«Sì — afferma Dario Abruzzi parlando all’Osservatore Romano — per me c’è stato un vero e proprio passaggio di consegne quel giorno. Di lui mi piaceva che non si sentiva mai arrivato. Si metteva sempre in discussione».

Significative le ragioni che hanno portato Dario a seguire le orme del padre, a diventare medico, anche se in una disciplina diversa, l’ortopedia. «Ho studiato medicina — confida Dario, oggi ventisettenne — perché ho voluto seguire l’esempio di mio padre. 

Secondo lui, quella del medico è la professione più bella al mondo perché lavorando fai del bene. E nella vita, fare del bene aiuta a stare bene. Il bene fa bene! Ecco, ascoltando questo insegnamento e seguendo il suo esempio, ho deciso anche io di diventare medico».

Altro grande insegnamento ricevuto da suo padre è quello dell’obbedienza alla propria missione. Un’obbedienza che si è manifestata fino al sacrificio estremo della vita. «Di mio padre — confida — mi colpiva il senso del dovere come medico ma anche come padre. Quando tornava a casa si dedicava a noi, anche se aveva avuto tanti problemi al lavoro. Al lavoro ha sempre tenuto a fare il suo dovere, alla sua missione, all’obbedienza a quella che sentiva più come una missione appunto che una professione. 

Quando è stato chiamato a lavorare nei reparti Covid, ha subito accettato. Lo ha fatto per dare un esempio, anche ai suoi colleghi. 

Dario ha letto la Lettera di Papa Francesco Patris Corde. Lo ha colpito, non a caso, proprio il capitolo sulla paternità e l’obbedienza di San Giuseppe che custodisce la sua famiglia senza riserve e si fida di ciò che il Signore gli chiede in sogno. Naturale e immediato per il giovane medico è il richiamo all’esempio di suo padre che ha speso la sua vita a custodire chi soffre, facendo quello che era necessario senza risparmio di energie. 

«Oggi — constata — sembra che se dici che uno è obbediente sia in catene, come se non fosse libero. Io invece ho sperimentato in tutt’altro modo l’obbedienza nei confronti di mio padre. Obbedivo a lui, a quello che mi diceva per il semplice fatto che lo rispettavo e lui con il suo esempio si faceva rispettare. Uno obbedisce nel momento in cui riconosce nell’altro un punto di riferimento, un esempio. Io ero così orgoglioso di mio padre che volevo che lui fosse, a sua volta, orgoglioso di me e per questo lo seguivo e ascoltavo. Fidarsi è fondamentale».