Facciata esterna, abside
di Stefania Severi
I mosaici che “illuminano” l’abside, il catino absidale e l’arco trionfale che lo precede,
risalgono agli anni 1963-64 e sono stati eseguiti dai Fratelli Toniutti di Bollate (Milano)
della Scuola del Mosaico di Spilinbergo, su cartoni dei fratelli Pio e Silvio Eroli di Roma
I mosaici che ornano la facciata sono tre e sono collocati entro le lunette sopra i tre portali, risalenti alla costruzione della facciata, mentre i mosaici furono messi in opera nel 1937. Eseguiti dallo Studio Vaticano del Mosaico, presentano due angeli nelle lunette laterali e San Giuseppe col Bambino in quella centrale. Le figure sono colte tutte a mezzo busto per ottemperare le esigenze di visibilità in relazione allo spazio.
Il mosaico centrale presenta San Giuseppe che tiene, tra le braccia, il Bambino infante che allunga le manine quasi ad accarezzare la barba bianca del vecchio padre terreno. La dolcezza affettiva del gesto e dell’incrocio degli sguardi perfettamente si inserisce nell’ambientazione, offerta da un bosco rigoglioso, con in primo piano la pianta di melograno con i suoi frutti simbolo della Chiesa, che si apre su un lago dalle verdi sponde. La luce calda del giorno, ammorbidita quasi dal filtro degli alberi, avvolge i due protagonisti. Un bordo rosso perimetrale, appena visibile, accentua l’effetto di profondità.
Le lunette laterali si presentano simmetriche, con due angeli affrontati e con le mani rialzate a sorreggere, l’uno il modello di San Pietro (a sinistra) e l’altro una lucerna accesa (a destra). I volti, i capelli biondi e ricciuti, le vesti bianche, sono simili ma non identici, così da risultare l’insieme armonico ma non rigido.
Lo sguardo degli angeli è rivolto verso l’alto, quasi fisso al San Giuseppe nella lunetta centrale. Il modellino di San Pietro, che spicca contro una bianca croce raggiata, allude alla circostanza che la Chiesa universale è stata posta, da papa Pio IX nel 1870, sotto la protezione di San Giuseppe.
La lucerna accesa, di tipo paleocristiano, allude alla carità, carisma tipico dei Guanelliani; la fiammella è messa in risalto da un cerchio che l’attornia. I due angeli, col capo messo in evidenza da un nimbo chiaro, spiccano sul fondo dorato della lunetta. Anche qui un bordo rosso perimetrale offre un leggero effetto di profondità, sottolineata dall’ala incompleta dell’angelo che appare come parzialmente nascosta.
A visione ravvicinata si notano, tra le tessere dorate del fondo, alcune tessere verde-azzurro; sono queste che rendono l’insieme vibratile, secondo una prassi antichissima che esalta il colore unito con tessere musive di colore contrastante.
I tre mosaici sembrano doversi attribuire a due mani diverse. Più rigida e meccanica quella che ha eseguito gli angeli, mentre decisamente più libera e pittorica quella che ha eseguito San Giuseppe. Nessuna rigidità, infatti, vi è nella composizione, equilibrata ma naturale al contempo. L’esecuzione è minuta così da ottenere effetti cromatici sfumati.
I mosaici che “illuminano” l’abside, il catino absidale e l’arco trionfale che lo precede, risalgono agli anni 1963-64 e sono stati eseguiti dai Fratelli Toniutti di Bollate (Milano) della Scuola del Mosaico di Spilinbergo, su cartoni dei fratelli Pio e Silvio Eroli di Roma. L’intero complesso musivo è stato realizzato in occasione dell’ampliamento dell’edificio sacro che, nella prima costruzione, terminava con un muro di fondo rettilineo posto circa al termine della navata attuale. Erano quelli gli anni del Concilio Ecumenico Vaticano II e della beatificazione di Don Luigi Guanella. Questi mosaici sono certamente opera di pregio per la perizia esecutiva, per l’ottimo materiale impiegato e per l’eccellente posa in opera. Assai gradevole è l’insieme cui il colore e la luminosità offrono indubbi elementi di godimento estetico. è comunque da sottolineare una notevole rigidità, sia nelle singole figure sia nei vari elementi compositivi, in parte determinata da scelte tipiche dell’epoca in cui si tendeva a far fronte al grande rinnovamento dell’arte con una sorta di appello all’ordine, per timore di non ottemperare agli intenti didascalici e devozionali propri dell’opera d’arte all’interno di un edificio sacro. Il discorso dottrinale si fa pertanto preponderante.
La parte più bella dell’intero ciclo è indubbiamente nella resa delle superfici mosse del fondo del catino absidale, nel San Giuseppe in Gloria. Qui, nelle calde tonalità che “scaldano” il cielo con la luce divina, gli esecutori, liberi da problematiche iconografiche, hanno offerto il meglio. è comunque evidente l’omogeneità esecutiva dell’insieme, con una trattazione delle linee un po’ sintetica quasi ad offrire un piccolo omaggio alla sintesi propria della coeva arte più avanzata. Il tema principale dei mosaici illustra i momenti salienti della vita di Giuseppe.
L’abside è ornata da tre riquadri musivi mentre il catino ha un'unica rappresentazione che racchiude, all’interno, più elementi.
Lo Sposalizio di Giuseppe e della Vergine Maria è il grande riquadro sul lato sinistro dell’abside. La scena si svolge a fronte di un tempio secondo una iconografia ampiamente collaudata. Si pensi al celebre “Matrimonio della Vergine” di Raffaello (Milano, Pinacoteca di Brera). Qui il tempio sul fondo, che allude simbolicamente alla Chiesa, è costituito dalla parte anteriore di un edificio classicheggiante, con trabeazione rettilinea, arricchito da una porta centrale timpanata e da sei colonne del tipo cosiddetto salomonico, cioè tortili, interrotte da un elemento decorativo a foglie. Tali colonne alludono, oltre che al Tempio di Salomone, al San Pietro paleocristiano. L’unione di elementi classici e mediorientali indica altresì la duplice natura della Chiesa che si forma dal ceppo ebraico e dal ceppo dei gentili.
Al centro è la figura del sacerdote, con ricche vesti e manto rosso fermato da una fibula dorata e copricapo che ne indica l’alta funzione. è un uomo maturo e con fluente barba bianca, segno di sapienza derivata dall’esperienza. Il sacerdote, con le sue mani, tiene il braccio destro dei due sposi avvicinandoli tra loro, così da consentire a Giuseppe, sul lato sinistro della scena, di infilare l’anello all’anulare destro di Maria, come era d’uso e lo è tutt’ora nei popoli orientali. Perfetta simmetria c’è tra le figure dei due sposi a sottolineare l’unità dei loro intenti. Estremamente semplici sono le vesti dei protagonisti, tunica e mantello per entrambi, diversificati solo nel colore, bianco per Maria, il colore della purezza, e colori di terra, rosato per la veste e ocra per il mantello, per Giuseppe. In tutte le scene in cui Giuseppe compare ha vesti dello stesso tipo e dello stesso colore, con lievi varianti tonali. Questi è giovane, con corta barba e capelli ricciuti, secondo la tradizione. Tale fisionomia persiste anche nella scena della Natività con pochi cambiamenti nelle scene del Transito e della Gloria, dove il Santo appare stempiato e con qualche filo bianco nella barba e nei capelli. Esile è il volto di Maria, parzialmente coperto dal manto bianco che le copre il capo e le spalle. Tra le bianche tessere musive della veste lievi tocchi di azzurro e di grigio offrono una piacevole variazione cromatica. Dietro a Giuseppe sono due uomini, uno più giovane ed imberbe in primo piano e l’altro più maturo e con barba, più arretrato. La veste azzurro intenso di quest’ultimo sottolinea i piani prospettici. Il giovane in primo piano tiene, con entrambe le mani, una verga appena spezzata, con allusione ad una tradizione, tratta dai vangeli apocrifi. Secondo tale tradizione i pretendenti di Maria avevano dovuto collocare ciascuno una propria verga e quella di Giuseppe era germogliata e pertanto egli era stato prescelto. Dietro alla Vergine è una donna che reca in mano un vasetto per gli unguenti. Il fondo è costituito, oltre che dal grande tempio, da un albero ed un monte sulla destra, dietro alla figura femminile e da una casa dietro alle figure maschili: tale accostamento sottolinea il coesistere di Natura e Storia, che solitamente si raffigurano simbolicamente con il femminile la prima, ed il maschile la seconda. Il pavimento a piastrelle quadrate e la scalinata del tempio suggeriscono la profondità spaziale della scena.
Le ombre date con prevalenza di tessere cilestrine creano un effetto di luminosità diffusa anche se attenuata.
La Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, è il grande riquadro sul lato destro dell’abside. La scena è notturna, anche se rischiarata dalla luce che proviene dal Bambino. Infatti, il panno bianco dorato che ricopre la semplice culla ed il panno bianco candido che vela parzialmente il corpo del Bambino, sono, visivamente e simbolicamente, fonte di luce per l’intera scena. L’ambiente è quello di un fienile parzialmente diruto, parte del tetto ligneo è, sulla destra, ancora in situ, mentre una parte pende staccata sul fondo. Sul lato destro il bue e l’asino protendono il muso verso una mangiatoria piena di paglia; il loro sguardo è sereno e la loro posizione è vigile ma tranquilla. A destra è Giuseppe che, ritto contempla il Bambino, le mani lievemente alzate a sottolineare il suo stupore. Maria è inginocchiata dall’altro lato e tiene le mani devotamente giunte in adorazione del Figlio. La sua veste è rossa ed un ampio manto azzurro le copre il capo ed il corpo ripiegandosi a terra. I colori sono tradizionali ed alludono all’amore ed al sangue, il rosso, e al soprannaturale, l’azzurro. Un nimbo dorato circonda il capo di Maria e quello di Giuseppe, ad indicare che la santità ha inizio col Cristo. Tre sono i testimoni dell’evento, posti dietro la figura di Maria: un giovane in piedi con una lucerna accesa in mano, una donna inginocchiata ed un pastore, più arretrato, che osserva la scena appoggiandosi al suo bastone, mentre tiene presso di sé una pecora. L’intera composizione può essere commentata con i passi evangelici relativi alla Natività.
Il transito di San Giuseppe è il mosaico centrale dell’abside. Sotto reca l’iscrizione (in latino) «O Giuseppe, Vergine Padre di Gesù, Purissimo Sposo della Vergine Maria, prega per noi Gesù, Figlio di Dio, perché bene operando nella vita, possiamo in morte ricevere la corona». Questa invocazione è un auspicio rivolto a San Giuseppe per tutti gli Associati alla Pia Unione del Transito. Al transito viene dato un posto preminente all’interno della vicenda di Giuseppe proprio in relazione all’istituzione della Pia Unione del Transito di San Giuseppe voluta da San Luigi Guanella e che ha sede presso la Basilica del Trionfale. La collocazione centrale, infatti, altera la tradizionale disposizione cronologica sinistra-destra (il senso della lettura), tipica della pittura cristiana, sostituendola con una visione che tende a porre al centro il momento che si ritiene più significativo. Il fondo è reso con delle semplici arcate a tutto sesto che dividono ritmicamente lo spazio creando lievi piani che animano la superficie ma al contempo non distolgono dalla scena otticamente e simbolicamente centrale. Due gradini consentono al gruppo di Giuseppe, Gesù e Maria, di trovarsi otticamente più in alto. Il punto di vista, spostato anch’esso verso l’alto, consente una visione ottimale, ed è ulteriormente enfatizzato dalle piastrelle del pavimento in prospettiva. Giuseppe giace sul letto, poggiando il capo e il busto su un candido cuscino; le gambe sono ricoperte da un drappo semplice ma elegantemente panneggiato, del colore del suo mantello, e quindi ad esso assimilabile. L’aspetto è ancora vigoroso, a sottolineare la piena consapevolezza e la piena coscienza dell’evento. Le sue mani sono colte nell’attimo in cui stanno per congiungersi, creando un effetto di aspettativa temporale, di momento di passaggio, perfettamente in armonia col transito. Ai suoi lati sono il Cristo e la Madonna. Il Cristo, in tunica bianca e manto azzurro intenso, è alla destra di Giuseppe, indicando, con tale collocazione, il suo essere gerarchicamente sopra la Madre. Il gesto del Cristo, con una mano sul cuscino e l’altra quasi a toccare il corpo del padre terreno, assume l’andamento di un abbraccio accogliente. Maria, alla sinistra di Giuseppe, ha le mani giunte in preghiera e reclina lievemente il capo ad indicare la sua mestizia ma anche l’accettazione serena dell’evento. Maria indossa, come nella scena della Natività, la veste rossa ed il manto azzurro; ha anche il capo velato, secondo una iconografia che si diffuse soprattutto dall’Ottocento. Due giovani in piedi, ai due lati del letto, tengono uno una lucerna l’altro un braciere entrambi accesi. In primo piano, quattro giovani inginocchiati tengono un drappo quasi a proteggere l’intimità del momento; il drappo allude altresì al sudario nel quale il Santo sarà avvolto.
Il gruppo, pur nella sostanziale omogeneità delle vesti bianche, si presenta senza rigidità grazie alle diverse gradazioni del bianco delle vesti che si tinge ora di rosa, ora di azzurro, ora di una calda tonalità dorata. Il gruppo costituisce quasi una “soglia”, un elemento che si interpone tra la scena e chi osserva, a sottolineare che si tratta di un momento alto, al quale accostarsi con particolare deferenza. Importante, nell’economia dell’insieme, è l’uso delle luci. Dall’alto scende a pioggia d’oro un fascio di luce metafisica che allude chiaramente alla presenza divina ed al destino di luce che attende il morente. A questa luce se ne uniscono altre che creano un effetto generale di luce d’interno, a sottolineare il momento privato dell’evento. Le fonti di luce sono fisiche, la lucerna e il tripode, e metafisiche, le aureole dei tre protagonisti. Ma le lampade, nella loro fisicità, sono da intendersi anche come simboli dell’amore e della fede che illuminano i credenti nel loro trapasso. A queste fonti luminose se ne aggiunge un’altra: il sudario bianchissimo, che riverbera il suo candore illuminando ulteriormente la scena. Esso simboleggia anche l’umanità piangente. Il pavimento con piastrelle in prospettiva accentua l’effetto di profondità.
Sulla base del mosaico sono le scritte, a sinistra “Novamosaici Toniutti Milano Bollate” e, a destra, “Pio e Silvio Eroli Roma 1964”.
Due elementi, al di fuori del mosaico, ne sottolineano i contenuti. L’uno è la scritta (in latino) che è incisa su un cartiglio di marmo che è sopra al mosaico e che commenta la scena sottostante: «O uomo veramente fortunato, alla cui estrema ora assistettero insieme Cristo e la Vergine». L’altro elemento è la Lampada del Morente, costituita da una ghirlanda di lampade di bronzo. Sono decine di piccole lampade, accese in perpetuo, che simboleggiano la preghiera a San Giuseppe degli Associati alla Pia Unione per l’intercessione dei morenti del giorno.
Il catino absidale è dominato da San Giuseppe in gloria. Al centro, imponente, è la figura del Santo con la veste ed il mantello del tutto simili, nei colori rosaceo e terra chiara, a quelli che appaiono nelle altre scene, a sottolineare il continuum temporale. Sotto i piedi del Santo è la scritta «Te, Joseph, celebrent agmina coelitum» (Te, o Giuseppe, esaltino i cori degli Angeli) che è il commento all’intera scena centrale. Una luce di grazia emana dal corpo del Santo ed è resa con toni giallo chiaro che sfumano gradatamente verso l’oro cupo del fondo dell’abside.
Il Santo ha nella sinistra un ramo di gigli, suo tradizionale attributo in relazione al suo virginale stato, e la destra è rivolta in alto nell’atteggiamento tradizionale dell’orante. Sette angeli, avvolti in lunghe tuniche bianche, in volo ascensionale, si librano nell’aria con andamenti mossi e al contempo contenuti. Cinque di loro recano mazzi di gigli. Il loro volo forma, attorno alla figura del Santo, una specie di ghirlanda che si apre in alto dove fasci di luce sottolineano la presenza della colomba dello Spirito Santo che, ad ali spiegate, scende verso il Santo.
Un’altra corona di cherubini circonda a sua volta i sette grandi angeli. Le loro piccole teste sono in colore rosso vivo, come di tradizione. Questi piccoli angeli rossi svolgono un ruolo fondamentale, dal punto di vista cromatico, nell’economia dell’insieme, infatti formano una zona di colore intenso che fa emergere le chiare figure degli angeli e fa da passaggio verso il fondo d’oro brillante del catino absidale.
Sulla base del catino absidale si sviluppano due scene tratte dall’Antico Testamento.
Guardando a sinistra sono Abramo e suo figlio Isacco; i loro nomi spiccano a lettere dorate. La scena è resa iconograficamente in maniera molto originale, infatti i due patriarchi sono colti in due diversi momenti della loro vicenda terrena. Abramo è colto nel momento in cui, già predisposta la pira, è pronto ad immolare il figlio, ma viene fermato dall’Angelo. Tra la pianta d’acanto alla quale è impigliato, già emerge il capro che sarà immolato al posto di Isacco.
Solitamente in questa scena è presente il giovane Isacco nell’atto d’essere colpito. Qui invece Isacco, lontano ormai l’episodio dell’infanzia, è un uomo maturo, pronto a prender moglie. Avanti a lui è un pozzo, da cui sgorga abbondante acqua, che allude all’episodio biblico in cui il servo Eliezer, mandato da Abramo a cercare una moglie per Isacco, giunto presso un pozzo, pregò Dio di indicargli la fanciulla adatta. Questa avrebbe dovuto offrire acqua a lui ed ai suoi cammelli. Così, infatti, per volere di Dio avvenne: Rebecca, giunta al pozzo, offrì acqua e divenne la moglie di Isacco.
Sul lato destro del catino absidale sono Giacobbe e Giuseppe; pure i loro nomi spiccano a lettere dorate. Giacobbe è raffigurato ad occhi chiusi, con una mano alla fronte. Dietro di lui è la scala su cui sale un angelo mentre un altro angelo sembra trattenerla in alto.
L’episodio allude alla visione che Giacobbe ebbe in sogno: angeli che andavano e venivano da una scala che saliva al cielo e l’annuncio della nascita del Messia.
Giuseppe è invece raffigurato con un grande fascio di spighe tra le mani. L’episodio a cui si allude è relativo all’operato che egli ha compiuto in Egitto, salvandolo da una terribile carestia. Egli, infatti, per illuminazione divina, aveva correttamente interpretato il sogno del Faraone che aveva visto sette vacche grasse e sette vacche magre e sette spighe rigogliose e sette spighe vuote, individuando in esse sette anni di abbondanza e sette anni di carestia. Nella scena, dietro a Giuseppe sono sette spighe di grano, una palma da dattero ed edifici che richiamano l’antico Egitto.
L’andamento dell’intera composizione tende alla circolarità, con un effetto rotatorio dell’insieme che spinge visivamente verso l’alto la composizione.
I due angeli posti rispettivamente a sinistra ed a destra, l’uno sopra Abramo e l’altro sopra la scala di Giacobbe sono figure di collegamento estetico e concettuale tra la parte inferiore del mosaico, la terrena, e la parte superiore, la celeste. Le piccole tessere cilestrine che animano, ora in ritmi ripetuti, ora variamente disposte, l’intera composizione, costituiscono la nota “fredda” che esalta la luminosità dell’insieme e la rende vibratile.