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di Stefania Severi

La figura di San Giuseppe nella Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi di Caravaggio è un giallo nel giallo. L’opera, un olio su tela di cm 268 di altezza e 197 di larghezza, fu realizzata da Caravaggio per l’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, un oratorio che dal 1564 era affidato alla Compagnia di san Francesco, di qui la presenza non usuale dei due Santi nel Presepio. Lorenzo, con un ricco manto liturgico, tiene la graticola mentre Francesco è in atto di preghiera. 

Nella composizione, destinata all’altare maggiore, compaiono, oltre ai due santi, ovviamente la Vergine, non in posa orante ma semi sdraiata e come affaticata, il Bambino ignudo a terra, un angelo nell’alto col cartiglio con la scritta gloria in excelsis deo e due figure maschili: un giovane seduto a terra e visto da dietro, con un giubbetto di una tonalità bellissima di verde, e, parzialmente visibile e presso San Francesco, un vecchio che si appoggia ad un bastone. Secondo vari testi accreditati San Giuseppe sarebbe l’uomo seduto a terra che sembra dialogare con il personaggio presso Francesco, forse Frà Leone. In realtà tale attribuzione è sempre parsa dubbia in quanto l’iconografia del santo non è tradizionale, troppo giovane, muscoloso e biondo. D’ultimo almeno un mistero su questa tela sembra essersi dipanato, proprio a riguardo di san Giuseppe, il quale sarebbe invece la figura in piedi di destra, con barba, che si appoggia al bastone, secondo una iconografia che già fu adottata da Arnolfo di Cambio nella sua scultura nel Presepio di Santa Maria Maggiore a Roma. E chi sarebbe allora il giovane col giubbetto verde? Si è ipotizzato un avvicinamento alla figura dell’uomo selvatico – espressione del Dubbio – che compare nelle antiche icone orientali. Ma è una ipotesi abbastanza forzata anche se la posizione del corpo della Vergine è più simile a quello nelle antiche icone orientali che non alla tradizione iconografica occidentale, pertanto non è da escludere che Caravaggio abbia visto alcune antiche icone della Natività. La tela è stata a lungo oggetto di analisi da parte di innumerevoli studiosi e nel 1951 è stata restaurata presentandosi, così ripulita, in ottimo stato. 

Ma nella notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969 la tela fu rubata. E qui comincia un giallo che vede protagonisti pentiti di mafia, giudici tra i quali lo stesso Giovanni  Falcone, un giornalista inglese, collaboratori di giustizia, noti mafiosi. La storia è stata ricostruita da Riccardo Lo Verso nel suo libro La tela dei boss (2018). 

Il clamoroso furto ha stimolato la fantasia di scrittori come Leonardo Sciascia (Una storia semplice) e Andrea Camilleri (Il colore del sole) e registi come Roberto Andò per il film Una storia senza nome (2018). E in molti sceneggiati, film, programmi televisivi e documentari il dipinto, a vario titolo, appare o è protagonista.

Nel 2016 il laboratorio Factum Arte di Madrid, su incarico di Sky, ha “ricreato” il capolavoro e la replica è stata posta nell’Oratorio di San Lorenzo, nel luogo originale, con una cerimonia alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Ancora oggi le polizie di tutto il mondo cercano il dipinto, considerato, tra quelli trafugati, tra i primi dieci al mondo per pregio ed importanza.