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Intervista al card. Angelo Comastri

di Francesco Marruncheddu

Eminenza, l’Anno della Fede che iniziamo in questi giorni, voluto dal Santo Padre Benedetto XVI, interroga le nostre comunità e la loro fedeltà al vangelo. Come si può nel mondo d’oggi, comunicare la gioia della fede, specie in un momento di crisi di valori.
Dobbiamo, innanzi tutto, recuperare la lucida consapevolezza che la fede non è una poltrona nella quale possiamo sederci comodamente una volta per sempre. Non, non è così! La fede è una strada da percorrere: ogni giorno dobbiamo metterci in cammino come un viandante e dobbiamo lottare per togliere gli spazi di incredulità e il tarlo della mediocrità che tutti ci portiamo dentro.
Una comunità cristiana più umile, una comunità cristiana desiderosa di crescere nella fedeltà al proprio Signore  è già un bel segno di fronte al mondo.

Dall’altra parte dobbiamo smitizzare l’impenetrabilità del mondo contemporaneo: sembra chiuso al Vangelo, sembra ostile alla luce, ma, in verità, gli uomini di oggi sono profondamente tristi e desiderosi di dare un senso alla propria vita. Pietro Citati alcuni anni fa esclamò: “l’insoddisfazione è come un gas diffuso in tutta la società del benessere”.
Quale la soluzione a questa mancanza di felicità?
Noi sappiamo che l’unica terapia è Gesù: è Dio che salva! Prepariamoci ad una nuova evangelizzazione, togliendosi di dosso il peso di tante zavorre inutili e rendendo la vita un’eco fedele della Parola che annunciamo.
Madre Teresa di Calcutta, seminatrice infaticabile del Vangelo nel mondo contemporaneo, diceva: “quando parliamo, ricordiamoci che la nostra vita parla più forte delle nostre parole. Se la nostra vita smentisce le nostre parole, la gente si scandalizzerà per la nostra vita e non ascolterà le nostre parole”.
Il Cardinale Idelfonso Schuster, grande Arcivescovo di Milano, poco prima di morire confidò ai suoi seminaristi: “oggi gli uomini sembrano insensibili a tutto. Ma se appare un santo, tutti si fanno pensosi e molti si inginocchiano. Non dimentichiamo che il demonio non ha paura delle nostre organizzazioni, ha paura soltanto dei santi”. Facciamogli paura allora!
La persecuzione è un elemento continuo nella storia della Chiesa. Stiamo vivendo un momento difficile e tanti cristiani sono come disorientati, anche per tanti fatti accaduti anche a persone legate al Vaticano…
Nel 1968, durante la bufera suscitata dalla pubblicazione dell’Enciclica “Humanae vitae”, andai con l’animo sofferente e preoccupato a cercare un po’ di luce e un po’ di conforto da Madre Teresa di Calcutta.
La Madre lesse nei miei occhi una grande paura. Ricordo che mi prese le mani e le strinse tra le sue, come se volesse trasmettermi la pace della sua anima, e poi mi disse: “la Chiesa ha sempre camminato in mezzo alle tempeste: e sarà sempre così, perché Gesù ci ha avvisato con estrema chiarezza”.
La barca della Chiesa sta affrontando tempeste pericolose. Che cosa dobbiamo fare?  
C’è un episodio nel Vangelo, che ci indica la via da seguire. Un giorno Pietro chiese a Gesù, che stava camminando sulle acque del lago di Galilea, di poterlo raggiungere camminando sulle stesse acque. Gesù accolse l’ardita richiesta. Ma, dopo pochi passi, le acque del lago cominciarono ad agitarsi e Pietro ebbe paura e cominciò ad affondare. Allora gridò: “Gesù, salvami!”
E la mano di Gesù afferrò Pietro e lo tirò fuori dalla tempesta. Madre Teresa concluse: “la Chiesa non ha il potere di camminare sopra le tempeste, ma ha la fede per implorare umilmente il suo Signore: questa fede è la forza della Chiesa…soltanto questa fede!”
La conclusione è ovvia: seguiamo l’esempio di Pietro e la mano di Gesù si farà sentire con fermezza divina: al di là di ogni nostra attesa!
Sembra esserci la necessità di vedere una Chiesa sempre più vera, trasparente, più povera e umile.
La Chiesa, in ogni epoca, ha avuto bisogno del bagno della riforma. Camminando nel mondo, la Chiesa raccoglie la polvere, assimila la mediocrità, rischia la stanchezza e l’incoerenza. Di questo rischio dobbiamo essere consapevoli. Come uscire da questo stato? Non si esce gridando violente parole verso l’incoerenza degli altri, non si esce lanciando sassi verso l’infedeltà sempre degli altri, non si esce proponendo disobbedienza, ma vivendo una maggiore obbedienza a Cristo Signore.
Un comportamento virtuoso che pochi fanno loro.
Chi deve cominciare? Ognuno di noi, in prima persona. Il grande predicatore francese Henri Dominique Lecordaire, al termine della sua vita, fece questa singolare confidenza: “Per tanti anni ho pregato dicendo: Signore, manda tanti santi alla Francia! La mia preghiera era sbagliata. Dovevo dire: Signore, manda me!”
Ognuno di noi faccia altrettanto. E, moltiplicando le gocce d’acqua pulita, rischiareremo le acque della Chiesa e la renderemo sempre di più la “Sposa bella di Cristo”.
Non dimentichiamo poi mai che i veri riformatori della Chiesa sono i santi e non i tanto diffusi parolai delle riforme.
Il pellegrinaggio è icona della vita. Lei è Arciprete della Basilica Papale di San Pietro, cuore della cristianità, meta continua di pellegrinaggi, e particolarmente lo sarà durante quest’anno.
Il pellegrinaggio è una “icona” della vita cristiana e, pertanto, conserva sempre la sua attualità e una sua valenza pastorale.
Ma – ricordiamolo bene! – il pellegrinaggio non agisce automaticamente.
Il pellegrinaggio, pertanto, va preparato con cura e va gestito con mano ferma e con orientamenti chiari fin dall’inizio, affinché non diventi mai una spensierata passeggiata aperta da un frettoloso “segno di Croce” e chiusa da una “benedizione finale”. E, soprattutto, ricordiamo una cosa fondamentale: la gita finisce nel momento del congedo, mentre il pellegrinaggio inizia quando finisce.
è allora che iniziano a sperimentarsi i frutti di questo tempo privilegiato per la fede…
Il pellegrinaggio deve riaccendere o alimentare la lampada della fede di coloro che vi partecipano. E, una volta giunti a casa, si deve vedere nei pellegrini che ritornano, il bagliore di una coerenza ritrovata e la gioia di una fede riscoperta.
Questo è il vero “souvenir”, che il pellegrino deve portare con se quando torna a casa dal suo pellegrinaggio.