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di Andrea Fagioli

La Mostra internazionale d’arte cinematografica ha assegnato il «Leone d’oro alla carriera» a Roberto Benigni,che ritirerà il premio all’inizio di settembre, in occasione della 78° edizione della più importante rassegna di cinema in Italia. «Il mio cuore è colmo di gioia e gratitudine. È un onore immenso ricevere un così alto riconoscimento verso il mio lavoro», ha commentato a caldo il diretto interessato.

La decisione di assegnare all’artista toscano il premio è stata così motivata del direttore della Mostra, Alberto Barbera, a giudizio del quale «Roberto Benigni si è imposto nel panorama dello spettacolo italiano come una figura di riferimento, senza precedenti e senza eguali, alternando le sue apparizioni su palcoscenici teatrali, set cinematografici e studi televisivi con risultati di volta in volta sorprendenti. Si è imposto in tutti in virtù della sua esuberanza e irruenza, della generosità con cui si concede al pubblico e della gioiosità appassionata che costituisce la cifra forse più originale delle sue creazioni. Con ammirevole eclettismo, senza mai rinunciare a essere se stesso, è passato dal vestire i panni dell’attore comico tra i più straordinari della pur ricca galleria di interpreti italiani, a quelli di regista memorabile in grado di realizzare film di enorme impatto popolare, per trasformarsi da ultimo nel più apprezzato interprete e divulgatore della Divina Commedia dantesca. Pochi artisti hanno saputo come lui fondere la sua comicità esplosiva, spesso accompagnata da una satira dissacrante, a mirabili doti d’interprete, al servizio di grandi registi come Federico Fellini, Matteo Garrone e Jim Jarmusch, nonché di avvincente e raffinato esegeta letterario».

Benigni è nato il 27 ottobre 1952 a Manciano la Misericordia, frazione di Castiglion Fiorentino, in provincia di Arezzo, ma ha trascorso infanzia e giovinezza a Vergaio di Prato per poi, ventenne, trasferirsi a Roma. 

Ha ottenuto i primi successi nel teatro d’avanguardia e in seguito negli show televisivi (L’altra domenica, 1976, di Renzo Arbore, nella parte di un esilarante critico cinematografico). Ha portato poi sul grande schermo uno dei propri spettacoli, Berlinguer ti voglio bene (1977), diretto da Giuseppe Bertolucci. Si è messo quindi in luce come protagonista di Chiedo asilo (1979) di Marco Ferreri e de Il minestrone (1981) di Sergio Citti, ha partecipato a La luna (1979) di Bernardo Bertolucci e Il pap’occhio (1980) di Renzo Arbore. Si è affermato anche nel cinema statunitense recitando, come ricordava Barbera, con autori quali Jim Jarmusch (Daunbailò, 1986; Taxisti di notte, 1992; Coffee and Cigarettes, 2003), Blake Edwards (Il figlio della Pantera rosa, 1993) e Woody Allen (To Rome with Love, 2012). È stato infine protagonista con Paolo Villaggio del film-testamento di Federico Fellini, La voce della luna (1990), interpretando il lunare e poetico Ivo.

Nella regia Benigni ha esordito con Tu mi turbi (1983) e ha diretto insieme a Massimo Troisi il fortunato Non ci resta che piangere (1984), dando inizio a una serie di film premiati da un grande successo di pubblico, come Il piccolo diavolo (1988), insieme a Walter Matthau, primo dei suoi film scritti con Vincenzo Cerami. Dal 1987 ha lavorato sempre insieme alla moglie Nicoletta Braschi, protagonista femminile di tutte le sue pellicole, con la quale ha poi fondato nel 1991 la società «Melampo cinematografica», che ha prodotto da quel momento tutti i loro film: Johnny Stecchino (1991), Il mostro (1994), La vita è bella (1997), Pinocchio (2002) e La tigre e la neve (2005).

Con La vita è bella, da lui scritto e diretto, Benigni ha ottenuto nel 1998 il Gran premio della giuria al Festival di Cannes, e nel 1999, fra le sette nomination ricevute, ha ottenuto i premi Oscar per il miglior film straniero e il migliore attore, oltre a quello per le migliori musiche assegnato a Nicola Piovani.

Interessante notare come la seconda parte del film sia sostanzialmente un inno alla figura paterna attraverso il personaggio di Guido che, rinchiuso in un lager nazista con il figlio Giosuè, riesce a far credere al piccolo, per evitargli un trauma, che sia tutto un gioco.

Benigni, che non è padre nella realtà, ama esserlo nella finzione filmica. Già in Tu mi turbi, nell’episodio Durante Cristo, in cui nei panni del pastore Benigno fa da baby-sitter a Gesù Bambino, si avverte un atteggiamento decisamente paterno, con un rispetto quasi religioso nei confronti del figlio degli amici Giuseppe e Maria. Atteggiamento in qualche modo riscontrabile anche nei confronti di Lillo, il ragazzo down di Johnny Stecchino.

Dietro queste interpretazioni c’è forse un desiderio di paternità che trova conferma nell’avere portato sullo schermo per ben due volte il Pinocchio di Collodi. Tra l’altro la figura di Geppetto può essere avvicinata a quella del padre putativo per eccellenza, San Giuseppe, che guarda caso (ma per Collodi non è un caso) fa di mestiere il falegname. Ma c’è di più: Geppetto come Giuseppe si sente il «padre» di quella creatura, ma soprattutto il custode privilegiato della crescita di un bambino destinato a diventare grande (non più una marionetta) e a scegliere la libertà. Senza dimenticare la bella recita del Padre nostro in La tigre e la neve, ma nemmeno quel primordiale teologo popolare di Bozzone quando in Berlinguer ti voglio bene dialoga con l’amico Cioni (Benigni) sull’esistenza del Padreterno:

«Dio esiste».

«Perché?».

«Perché sì. Vedi Cioni, la casa l’ha costruita il muratore. Ma il muratore chi l’ha costruito?».

«Il babbo del muratore».

«E il babbo del muratore chi l’ha costruito?».

«Il babbo del babbo del muratore».

«Certamente. E il babbo del babbo del muratore l’ha costruito il babbo del babbo del babbo, e via e via fino al babbo del primo muratore. Ma il primo babbo del primo muratore chi l’ha costruito? Dio».

«Nooo…».

«Sì».

«E Dio chi l’ha costruito?».

«Dio… Non ti preoccupare…».

Ben altri livelli teologici, Benigni affronterà nello studiare e nell’interpretare la Divina Commedia, dimostrando straordinarie qualità di alta divulgazione, che sarà capace di replicare anche affrontando i Dieci comandamenti e la Costituzione italiana, ricevendo grandi consensi di pubblico e di critica, tanto da essere nominato nel 2005, dall’allora Presidente Carlo Azeglio Ciampi, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e di ricevere dieci lauree Honoris causa oltre a numerosi premi e riconoscimenti in tutto il mondo.

In occasione del Dantedì di quest’anno, settimo centenario della morte di Dante, Benigni ha anche recitato il XXV Canto del Paradiso in diretta televisiva dal Salone dei Corazzieri al Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Ministro della cultura Dario Franceschini.