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don Angelo Sceppacerca

Ti prepari per tre anni a questo 7° incontro mondiale delle famiglie. Poi ti basta salire sull’auto che viene a prenderti alla stazione e scambiare qualche parola con l’autista, uno dei cinquemila volontari. è un operaio, sindacalista nella sua fabbrica. Ha preso le ferie per lavorare da volontario. Gli basta essere vicino a tante famiglie, lui che la famiglia non l’ha avuta da quando è nato: genitori subito separati; fratelli e sorelle rintracciati – a stento – dopo decine di anni; darebbe chissà che cosa per conoscere e frequentare almeno i nipotini. E per di più ci ringrazia di essere venuti, di portare aria di famiglia, di raccontare che la famiglia c’è e vuole contare. “Vi prego, fatelo anche per me”.
Poi arrivi al banco dell’accoglienza: ragazzi con la maglietta dei volontari e col sorriso pronto ad accogliere, ascoltare, rispondere, accompagnare, risolvere. Sono schierati come piccoli plotoncini; ognuno con la sua guida che, subito, allerta: “Ai posti, ragazzi, sta arrivando il mondo!”. Già, qui a Milano, per alcuni giorni, c’è il mondo della famiglia e le famiglie da tutto il mondo (non è eufemismo: sono presenti 155 paesi dei cinque continenti). Fogge di ogni tipo e colore, come la pelle, gli occhi. Tanti bambini, i figli, protagonisti anch’essi. Anzi, mostrati come trofei di felicità. “Li abbiamo attesi per anni... ci dicevano di non insistere... poi è arrivato il primo, poi il secondo”. E ora stanno lì, in prima fila, protagonisti semplicemente perché veri, autentici testimoni essi stessi di quanto provano le ricerche: le famiglie normali, per quanto più esposte ad una vita non agiata né ricca, però sono le più felici e quelle più pro-sociali. E la società, dai politici in giù, ne è cosciente?
Tra i grandi numeri anche quello dei giornalisti accreditati: oltre millecinquecento. Basteranno a raccontare tutte le storie, le vicende, i volti? Dipende dal motivo che li ha portati qui a Milano. Ce n’è per tutti i gusti: molti seri e motivati. Ma anche qualcuno che cerca altre cose. Uno s’aggira con la telecamera a fianco a caccia di scoop improbabili, condizionati, a prescindere, come diceva Totò. Ho colto alcune battute: “Scusi, eccellenza, lei parla italiano?”. “No”. “Allora scusi, niente”. Cominciamo bene, penso. Qui si vuole fare indagine di bottega. Chi intervista è volto noto passato da trasmissioni “graffianti” ad altre che si ritengono di “barricata”. Come dire, leggermente ideologizzati e un po’ prevenuti sulle cose di chiesa... Così vedi le riprese rubate a chi forse si appisola a metà conferenza, o si soffia il naso in diretta. Le domande poi – guarda caso – sono proprio originali: ma lei sa cosa accade in vaticano? Cosa pensa degli scandali nella chiesa? E non vedono lì, davanti ai loro occhi, le prove lampanti del perché il mondo ancora riesce a sopravvivere.
L’organizzazione è all’altezza, ma sfoltire una massa di convegnisti al primo momento degli accrediti, richiede tempo, si formano le file. Puoi scegliere: o lamentarti oppure organizzare qualcosa, come il gruppo di africani, in costumi sgargianti che intonano un canto e una danza. Subito si forma un grande cerchio di telecamere, macchine fotografiche e cellulari: è qui la festa!
Un opinionista televisivo mi aveva chiesto, prima di partire per Milano: secondo lei, come sta la famiglia, oggi? Dalle prime impressioni direi che sta bene, certamente è viva. Bella più che mai. Anche ad uno stand che illustra le molte iniziative messe in piedi in questi anni dalla pastorale sociale soprattutto nelle regioni del Sud, la giovane che mi accoglie mi informa di quella più importante: qualche mese fa mi sono sposata. Ho fatto famiglia!
Questo, soprattutto, si trova ad ogni stand della Fiera: la famiglia in mostra, in molti suoi aspetti. Anche quelle che non rinunciano mai, neppure dopo la separazione, a sperare di ritrovare l’unità infranta. Anche ferita, la famiglia è viva.