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di Angelo Forti

La Chiesa «universale» scommette il futuro sulla chiesa «domestica», la famiglia nata dal sacramento del matrimonio, come sorgente perenne di forza e grazia divina. Il VII Incontro mondiale delle Famiglie, si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012. La prima tappa di questo lungo itinerario di preparazione  parte proprio da Nazareth, la culla della prima famiglia cristiana.  Quella famiglia è diventata una scuola di umanità, di fede, di relazioni, di lavoro e di festa.A Nazareth da sempre si è respirato un clima di «famiglia, di lavoro e di festa», tre temi che si intrecceranno in una danza di gioia e di itinerari di vita.
In questi mesi di preparazione avremo il compito di sostare nel cuore di questa esemplare famigliola. I nostri occhi diventeranno curiosi, avidi di luce per cogliere nei sentimenti di questa «trinità terrena», quei semi di speranza per far lievitare la nostra vita familiare con la stessa linfa che ha alimentato la loro esistenza.

Ho una suggestione: amo sognare e immaginare la casetta di Nazareth fasciata dai colori dell’arcobaleno. Dopo il diluvio, Dio, il Creatore del cielo e della terra, ha disegnato sulla testa di Noè e i suoi figli un arco, non per lanciare frecce di morte, ma per far splendere il sorriso stesso di Dio per mezzo dei colori. Infatti, nell’arcobaleno non solo troviamo l’armonia dei colori, ma per chi crede c’è lo sguardo luminoso di Dio.
Il vescovo Bruno Forte in un suo articolo ha affidato a ogni colore la rappresentanza di una qualità di vita. Ha immaginato e individuato nel bianco la luce di Dio che tutto avvolge, tutto illumina e in cui tutto vive. L’ha affermato Gesù nel suo evangelo, quando dice: «Perché io vivo e voi vivrete». Una piccola frase che squarcia l’orizzonte della vita e rende granitica la nostra speranza.
Noi apparteniamo a un Dio vivo e Lui, il Dio vivo, appartiene a noi.
Sappiamo di appartenere non a un idolo morto, con gli occhi spenti, con le labbra chiuse, ma a un Dio vivo, che ci ama e da lui abbiamo imparato che l’amore non muore, anzi rende eterna la vita.
Ritorniamo ai colori.  Nel rosso la vicenda umana di Gesù, il figlio inviato dal Padre. Nel giallo-oro la presenza dello Spirito Santo, il vincolo che unisce nell’amore il Padre al Figlio e irradia nel nostro tempo lo splendore dell’eternità.
Dentro quest’armonia di colori il vescovo Bruno Forte ha scritto in un articolo che «dalla realtà misteriosa di questi colori si può ricavare la risposta alla domanda che riguarda tutti noi quando ci domandiamo: “Chi ci renderà capaci di amare?”.
A questo interrogativo  ci viene aiuto il poeta Kahlil Gibran che scrive così: “Quando ami non dire: ‘Ho Dio nel cuore’, ma di’ piuttosto: ‘Sono nel cuore di Dio’. Si diventa capaci di amare, solo quando ci si scopre amati da Dio». Ecco allora la fede, che ha reso grande San Giuseppe, si è lasciato condurre dalla voce di Dio e ha camminato verso il futuro in sua compagnia.
Alla soglia della casa di Nazareth nel nostro animo affiorano queste riflessioni dopo secoli di esperienza di un’umanità che va cercando il volto di Dio nella vita; lo cerca anche nella testimonianza genuina e semplice di Giuseppe e di Maria che hanno vissuto il mistero di amore con quel fascino e quel trasporto che veniva loro direttamente da Dio.
Dio aveva affidato ai due santi coniugi un compito singolare, unico e irripetibile: per Giuseppe essere l’ultimo e grande patriarca con l’onere di consegnare all’umanità il Salvatore e a Maria il privilegio di essere madre del Figlio di Dio, Gesù.