Non diritti da rivendicare, ma prudente carità pastorale con la guida del sacerdote
del card. Ennio Antonelli
Accompagnare è tutt’altro che facile: richiede carità e sapienza, per testimoniare la misericordia di Dio. La comunione con Cristo e con la Chiesa, che l’Eucaristia significa e attua, non è solo atteggiamento soggettivo e interiore, ma anche incorporazione oggettiva che si concretizza in una coerente forma di vita ecclesiale, familiare, sociale.
Non si rispetta la verità del rito sacramentale, se, per esempio, mancano la solidarietà sociale (cfr 1Cor 11, 20. 34) e l’esercizio ordinato della sessualità (cfr 1Cor 6, 8-10). Ed è la mancanza di oggettiva coerenza con il sacramento a esigere l’esclusione dei conviventi more uxorio, prima ancora che la prudenza per prevenire un eventuale scandalo. «La Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddice oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio» (san Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 84; cfr Reconciliatio et Poenitentia, 34; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1650; Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, 29).
La motivazione teologica della doverosa coerenza oggettiva con il sacramento fonda e trascende la preoccupazione pastorale di prevenire lo scandalo. Per questo, come conferma il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, l’esclusione dall’Eucaristia dei conviventi more uxorio non si riduce a una semplice questione di disciplina ecclesiastica, ma «per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’àmbito delle leggi ecclesiastiche positive» (Dichiarazione circa il canone 915 del Codice, 24 giugno 2000).
In una situazione di oggettiva contraddizione con l’Eucaristia si presume che ordinariamente manchino anche le adeguate disposizioni soggettive e la vita in grazia di Dio. Inoltre tale contraddizione provoca lo scandalo, inteso come cattivo esempio che condiziona gli altri, influisce sulla loro mentalità e li induce in qualche modo al peccato. Pertanto, il bene della Chiesa e delle stesse persone interessate richiede di non concedere ordinariamente la comunione eucaristica, finché dura la situazione oggettivamente disordinata.
Prudenti eccezioni
Solo in casi particolari, per motivi davvero importanti, si possono fare delle eccezioni, in modo analogo a quanto già si fa con i cristiani non cattolici. Sebbene la Comunione eucaristica in linea di principio esiga la piena comunione ecclesiale e la coerente espressione visibile di essa, tuttavia anche i cristiani non cattolici, specialmente gli ortodossi, che si trovano in comunione incompleta con la Chiesa cattolica, possono esservi ammessi in via eccezionale e a certe condizioni (cfr Concilio Vaticano II, Orientalium Ecclesiarum, 27; Unitatis Redintegratio, 15; san Giovanni Paolo II, CIC, canone 844 § 3; Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’Ecumenismo, 1993, nn. 125. 129). La stessa prassi pastorale, per analogia, può applicarsi a coloro che vivono in una situazione di disordine morale oggettivo. Amoris Laetitia non concede al cristiano che convive diritti da rivendicare e non dà al sacerdote comandi da eseguire. Parla solo di possibilità. La decisione da prendere è affidata al discernimento prudente e alla carità pastorale, sapientemente illuminata, del sacerdote.
In ogni caso, senza alcuna eccezione possibile, prima di ammettere all’Eucaristia, il sacerdote deve discernere se ci sono almeno le disposizioni soggettive convenienti. Su di esse deve raggiungere una probabilità abbastanza solida, tale che possa essere considerata una certezza prudenziale. Anche se, in una situazione oggettiva di grave disordine morale, è piuttosto difficile riconoscere le buone e adeguate disposizioni soggettive, tuttavia non è impossibile. La coscienza del penitente potrebbe essere retta, anche se, a causa di oggettive difficoltà, egli non riesce ancora a osservare la norma (per esempio, praticando la continenza sessuale), ma cerca di fare il possibile per superare le difficoltà. Occorre considerare la personalità nel suo vissuto complessivo: preghiera, amore del prossimo, partecipazione alla vita della Chiesa e rispetto della sua dottrina, umiltà e obbedienza davanti a Dio (cfr AL, 300). Occorre esigere per il futuro che la persona perseveri «nella ricerca della volontà di Dio e nel desiderio di giungere a una risposta più perfetta a essa» (AL, 300), impegnandosi a pregare e a crescere spiritualmente, allo scopo di conoscere correttamente e compiere fedelmente la volontà di Dio nei propri confronti.
Attenti ad una mentalità
di fede
In presenza di queste disposizioni soggettive, il sacerdote può concedere l’Assoluzione sacramentale e la Comunione eucaristica, essendo peraltro consapevole che si tratta di un’eccezione da non trasformare in prassi ordinaria. Deve, inoltre, mettere in chiaro presso il penitente e nella comunità locale che la seconda unione dei divorziati è un grave disordine oggettivamente contrario al Vangelo. Il fatto che oggi la mentalità diffusa sia tollerante e indifferente rende più pericoloso lo scandalo, inteso come comportamento che induce gli altri al male, anche se non destasse sorpresa. Per evitarlo, l’ammissione ai sacramenti avvenga con riservatezza (per esempio, dove non si è conosciuti).
Concedendo la Comunione eucaristica solo in casi eccezionali, per importanti motivi e con discrezione, non si reca pregiudizio all’indissolubilità del matrimonio e alla doverosa completezza della comunione ecclesiale, né si dà approvazione alle convivenze extramatrimoniali.
Chi vive in una situazione di coppia irregolare e desidera accedere alla Mensa eucaristica non può affidarsi esclusivamente al suo giudizio di coscienza; deve ricorrere al discernimento «col sacerdote in foro interno» (AL, 298; cfr 300). Da parte sua il sacerdote, se è a conoscenza dell’irregolarità, deve ammonire la persona interessata, con rispetto e amore, e rinviare la sua ammissione all’Eucaristia a quando avrà compiuto un appropriato cammino ecclesiale (cfr AL, 294; 300; 305; 308). A riguardo va tenuto presente anche l’insegnamento di san Giovanni Paolo II: «Il giudizio sullo stato di grazia, ovviamente, spetta soltanto all’interessato, trattandosi di una valutazione di coscienza. Nei casi però di un comportamento esterno gravemente, manifestamente e stabilmente contrario alla norma morale, la Chiesa, nella sua cura pastorale per il buon ordine comunitario e per il rispetto del sacramento, non può non sentirsi chiamata in causa» (san Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucaristia, 37).
Nell’accompagnamento pastorale il compito del sacerdote è tutt’altro che facile: richiede carità e sapienza, per testimoniare la misericordia di Dio che a tutti e sempre offre il perdono e nello stesso tempo per discernere se il perdono viene realmente accolto dal penitente con la necessaria conversione.