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di Mario Carrera

A don Guanella sarebbe piaciuto poter chiamare i suoi sacerdoti con questo nome: “Figli del Sacro Cuore”. Desiderava che gli eredi del suo carisma di carità potessero esprimere nella loro attività una tensione di amore a imitazione del cuore di Gesù: «Quel cuore che aveva tanto amato gli uomini». Non fu possibile perché un’altra congregazione recava già questo nome e allora ripiegò su un altro, ugualmente carico di un cordiale amore e chiamò i suoi preti “Servi della Carità”, servi dell’amore misericordioso a imitazione di Gesù.

Proprio all’inizio del mese di giugno, dedicato dalla tradizione cristiana al culto del Cuore di Gesù, papa Francesco chiama attorno a sé i sacerdoti del mondo al fine di celebrare il «Giubileo della misericordia», per loro che sono «ministri della misericordia », così da affondare le radici del loro ministero sacerdotale nell’oceano infinito della tenerezza di Dio-Padre. Abbiamo imparato che il nome proprio di Dio è «Misericordia ». È un nome composto di “cuore” e di “compassione” . Il prete per missione è chiamato a coltivare un animo misericordioso per essere, a sua volta, autentico intermediario della misericordia di Dio. Si legge nell’evangelo che «Gesù passava tra la gente facendo del bene a tutti». Nessuno si è accostato a Gesù senza aver ricevuto un gesto, un’offerta di misericordia. Il cuore umano di Gesù aveva imparato nella casa di Nazareth come rapportarsi con il prossimo. Il suo papà terreno, Giuseppe, era un galantuomo, sempre disponibile ad accordare fiducia al prossimo, a coltivare sentimenti di pace verso tutti. Come tutti i bambini nei confronti del papà, anche Gesù ammirava Giuseppe, si compiaceva della sua bravura nel lavoro, pendeva dal suo labbro ascoltando i dialoghi con Maria, con i clienti che frequentavano la sua bottega. Tutta l’infanzia di Gesù è stata un tempo di crescita, una maturazione umana rivestita di una tenerezza che scaldava il cuore e abilitava i suoi sentimenti umani. Quando Gesù, allargando le braccia diceva «venite a me voi tutti che siete affaticati e tristi e io vi darò consolazione», affioravano nella sua memoria le braccia aperte di Giuseppe e di Maria che gli offrivano il tepore del loro corpo per riscaldargli l’anima. Papa Francesco sta scommettendo tutto il suo magistero sull’amore misericordioso di Dio, il suo desiderio di vicinanza fisica esprime la voglia di un abbraccio, un toccare le ferite delle persone per farle rifiorire di speranza. Il papa ha parlato addirittura di «scienza delle carezze». Il termine “scienza” indica una profonda conoscenza di una realtà, le segrete risorse, le aspirazioni più recondite depositate nell’animo umano. La sete di carezze è prigioniera in ogni essere umano. Chi vive la sua esistenza cristiana più attento alla legge che al cuore della legge, ritiene che la tenerezza sia un ragionamento infantile, una inconcludente concessione alla natura umana, confondendo la tenerezza con la debolezza. Quante volte la mano di Gesù fanciullo ha afferrato la mano robusta e sicura di papà Giuseppe. In questo giubileo della mia consacrazione sacerdotale spesso riaffiora nella mia memoria l’immagine del vescovo che mi unge le mani con il sacro crisma. Da quel momento le mani di ogni prete sono un ponte su cui cammina la misericordia per raggiungere il cuore delle persone. Mani da samaritano per aiutare, mani per benedire, per assolvere e donare santità al futuro; mani per offrire il pane eucaristico come caparra di vita eterna. Le mani del prete offrono pane e companatico alla mensa del povero e sono mani per asciugare le lacrime, mani per accarezzare ed esprimere solidarietà e partecipazione alla vicende belle e tristi della vita. Mani che stringono mani per rendere sensibile la presenza di Dio nella nostra vita.