Luglio-agosto: tempo per recupero di energie
di don Mario Carrera
La Chiesa italiana sta vivendo una stagione di accorata riflessione in preparazione al 5° Convegno nazionale alla ricerca di un «Nuovo Umanesimo», un’immersione nel quotidiano per riscoprire nella carne viva della storia i semi di Cristo. L’umanesimo ebbe la sua culla nella città di Firenze, là dove il respiro divino ha ripreso a fiatare con il respiro umano e a scoprire la gioia della dignità come persona, «creata a immagine e somiglianza di Dio». Da qui scoprire che ogni desiderio di bene nasce da un’attrazione divina che desidera condividere la nostra esperienza umana.
La strada del Convegno è progettata su quattro verbi, più uno: uscire, annunciare, abitare, educare e un traguardo: trasfigurare. Il poker dei verbi giocati con saggezza produce quel cambiamento che san Paolo nella lettera ai Romani definisce «il lasciarsi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, e a lui gradito e perfetto». Ne La Divina Commedia Dante Alighieri offre un frutto squisito dell’antico umanesimo e, in prima persona, esperimenta il fascino di questo itinerario di trasfigurazione. Nel camminare «di luce in luce», salendo verso il paradiso, egli scopre il positivo della vita e l’energia dell’amore. A Firenze si vivrà quest’appuntamento per ricostruire «un nuovo umanesimo» in una città che fu la culla dell’umanesimo medievale che aveva scoperto nella letteratura antica tanti «semi del Verbo», cioè valori evangelici da aiutare a fruttificare. Pensando a questo “nuovo umanesimo” mi è riecheggiata nell’anima una lettera antica chiamata «Lettera a Diogneto». Questa lettera è frutto dell’antico umanesimo e Diogneto è un pagano che s’interroga sulla fede in Gesù Cristo. L’autore di questa lettera descrive lo stile di vita di un’umanità redenta che sa vivere il fermento evangelico nella vita quotidiana. Il poker di verbi, cui si è accennato, si trova esemplificato in quest’antico documento là dove si dice: «I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti, non abitano città particolari, né usano di un qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è stata inventata per riflessione e indagine di uomini amanti delle novità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano. Abitano in città sia greche sia barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera. Come tutti gli altri si sposano e hanno figli, ma non espongono i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto nuziale». Il quinto verbo, posto come punto d’arrivo del Convegno fiorentino, “il trasfigurarsi”, anch’esso è descritto nella «Lettera a Diogneto». Le vicende quotidiane con il sacramento del Battesimo acquistano un’altra dimensione. I cristiani, infatti, afferma la Lettera: «Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi. […] In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo. L'anima si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile, anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile».