Alla scuola di San Luigi Guanella
di Mario Carrea
Ritornando alla normalità del vivere, dopo giorni vissuti diversamente, mi è tornato alla mente un’espressione di sant'Agostino, il quale si domandava a cosa può servire avere uno scrigno pieno di ricchezze quando si ha la coscienza “svuotata”. Questo interrogativo è valido a maggior ragione oggi che siamo inondati dal flusso di messaggi digitali: la tv, i cellulari, whatsApp, instagram.
Questa domanda sull’utilizzo dei singoli talenti, oggi più che nel passato, interpella le nostre generazioni.
Anche noi tentiamo di comprendere tutti i fenomeni della vita e trovarne spiegazioni, ma il paravento della fretta, a volte dell’orgoglio e della presunzione, cade nell'inquietudine e nell'angoscia e provoca un vuoto di fiducia verso la vita e verso l'ambiente circostante. È il dramma delle nuove generazioni colpite e sfiorate da una valanga di notizie-immagine che imprigiona l’orizzonte e fa scendere una fitta nebbia rendendo la vista miope, incapace di vedere lontano. Da questa miopia perniciosa san Paolo ci mette in guardia: «le cose visibili durano un momento, quelle invisibili invece sono eterne».
L'istinto dell'eterno è come un germe prigioniero nel tempo, è sete di un'anima immortale, custode di un'antica nostalgia, è un’antenna dello Spirito pronta a riempire i nostri vuoti e a ricercare linfa nuova per rinverdire le convinzioni.
Un maestro dello spirito ha lasciato scritto che per l'uomo di ogni stagione converrebbe considerare non tanto ciò che deve fare, ma ciò che è chiamato ad essere. La nostra vita è troppo segnata dal fare e privata da uno spazio dedicato a costruire «l'essere». Manca tempo da dedicare alla contemplazione e alla preghiera, elementi indispensabili ad integrare e rivitalizzare la sostanza dei valori.
Questa distrazione sui valori della vita è la radice del dramma di tante famiglie che vedono i figli allontanarsi dalla pratica religiosa ed avvicinarsi all’ingannevole conquista di paradisi artificiali come la droga e il disinteresse verso qualsiasi forma di partecipazione.
In uno scritto pubblicato su La Divina Provvidenza del 1893 don Guanella suggeriva il «Metodo per fare un po’ di bene». In quel breve scritto, emerge una grandissima fiducia nell'azione costante dello Spirito di Dio e una grande fiducia per l'uomo. Egli affermava che bisognava rifarsi da capo per «recuperare il perduto». Recuperare quel mondo insondabile dei valori con le «opere munite di preghiera»: «le opere umili di insegnamento... recuperare le pratiche di culto e di cristiana carità... e nel restauro poco a poco di quelle istituzioni che il nemico ha guastato e distrutto».
Accanto all'opera dei pensatori e degli operatori di cultura c'è spazio per le mani umili. È la virtù coltivata nella famiglia; è la pratica quotidiana della carità come attenzione ai bisognosi; è la preghiera restituita al suo primato nella vita di ogni persona. «Sono cose semplici e umili — dice don Guanella — ma non dubitate che lo Spirito del Signore li investe mirabilmente». I moderni non credono più a queste realtà, sembrando deboli strumenti, eppure hanno la ricchezza della potenza dell'amore di Dio.
Ogni volta che parole di speranza raggiungono la nostra coscienza i valori dello Spirito riemergono come un fiore di loto sulla superficie dell'acqua.
Don Guanella nella sua vita ha saputo dare una lezione di concretezza nell'esecuzione delle opere di Dio con una radice profonda, nutrita alla fonte di Dio.
Riservato come un montanaro, era difficile cogliere i segreti della sua anima, ma dalla frequenza quotidiana con lui alcune persone hanno potuto carpire i segreti della sua azione e della sua fiducia.
Maddalena Albini Crosta, che per anni ha diretto La Divina Provvidenza, ha ricordato che bisognava chiedere più volte a don Guanella ciò che riguardava la sua vita, e lei con la naturale intuizione del genio femminile ha saputo trarre una sintesi dei valori operativi nella missione del nostro Fondatore, ponendoli sulla piattaforma di ogni sua azione caritativa: quando si deve compiere qualcosa, bisogna coltivare l'iniziativa in modo da «sentirla profondamente in sé e mettersela davanti all'immaginazione quasi già fatta»; poi «bisogna invocare i consigli dei saggi e prudenti»; «bisogna incominciare con le piccole cose», quando, però la «Provvidenza apre la strada dinnanzi, è necessario affrettarsi e proseguire nella vita».
Allora, se ai problemi urgenti del nostro prossimo si ha la vigliaccheria di «mettersi le mani in tasca» e proseguire per la propria strada, il deserto dell'inquietudine non potrà far altro che allargare i suoi confini.