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di Mario Carrera

All’alba di un nuovo anno, la liturgia ci introduce nello spazio della vita, guidandoci con la stella luminosa della Parola di Dio. La Parola all’inizio della messa del 1° gennaio apre il panorama del nostro futuro con il desiderio che Dio, il datore di ogni vita, ci possa benedire, custodire e che la luce gioiosa del suo volto possa illuminare il nostro cammino.

Tutti abbiamo nel cuore la consapevolezza che l’inizio di ogni anno sia uno scrigno colmo di aspirazioni. Tuttavia sappiamo che ogni frammento della nostra esistenza è contrassegnato da un grande punto interrogativo.  Questo punto interrogativo è rovesciato verso il cielo, perché solo sul quaderno del cielo si scrivono le risposte con parole ricamate della luce divina che si fa promessa di benedizione, di custodia affettuosa e luce di perenne risurrezione.

Abbiamo chiuso il 2018 con una benedizione a Dio, ringraziandolo per i suoi doni goduti. Ora siamo all’inizio di un nuovo tempo da vivere e supplichiamo la bontà divina di una rinnovata benedizione che predisponga un cammino pianeggiante, sereno, tranquillo in cui possiamo avvertire la sua costante presenza anche nei momenti bui.

Abitare il nostro tempo con la fede in Dio, creatore e padre, significa dimorare su questa terra come apprendisti, collaboratori con Gesù a costruire la società, sognata e progettata da Dio. Per tracciare un cammino condiviso, nella nostra fragile umanità, Dio ha voluto esperimentare “il mestiere del vivere umano” nascendo e vivendo come uno di noi. 

Il nostro procedere nella storia da battezzati è sostanzialmente simile a tutti gli abitanti del mondo; infatti, simili sono gli affetti, il lavoro, le aspirazioni, la salute, la malattia, la gioia e le lacrime, ma per noi discepoli di Gesù, nella trama del vivere quotidiano è in filigrana il divino che offre al tempo un supplemento di grazia e di energia. 

Gesù cammina con noi coltivando il progetto personalizzato che ha sognato nel momento della nostra nascita.

Don Guanella faceva fiorire sulle labbra questa espressione coltivata nel cuore: «è Dio che fa»: suo è il progetto, suo è il cantiere. A noi la disponibilità di lasciarci plasmare come l’argilla dalle mani dell’artista.

Davanti al presepe siamo invasi da un delicato sentimento di stupore. Lo stupore che ha condotto i Magi a Betlemme continua a provocare la nostra coscienza anche in questa epoca di grandi e vorticosi cambiamenti.  

In una tradizione, ormai senza anima, allo stupore è rimasto poco spazio. Tutto ci appare consueto, un “già visto”: la meraviglia ha perso la freschezza di sorprenderci e i pochi frammenti rimasti si affacciano solo sulle luci delle strade e sul luccichio dell’albero di Natale nelle nostre case.

Pensando all’incontro dell’infinto con il finito del fanciullo Gesù, nato nella povertà di Betlemme, la nostra fede si riaccende e invade di luce la nostra memoria che si dilata sino all’inizio dell’umanità.  

Nel linguaggio figurato della Bibbia, il creatore ha fatto iniziare la nostra storia da un pugno di fango. Quel fango nelle mani di Dio si è fatto carne in Adamo. Quella carne solitaria non piacque a Dio e gli pose accanto Eva come grembo della futura umanità. Dio, dopo aver preparato un popolo, si riappropria di quella carne umana e la rende ospitale fecondandola con la sua onnipotenza. Maria, esentata dal gravame del peccato, con fede grande dona a Dio la sua carne per farla abitare dallo stesso creatore. Con Gesù il creatore si fa creatura. È in questa singolare vicenda, che Maria diviene discepola e collaboratrice di Dio nell’aiutare la nostra condizione umana a diventare umanità vivificata dallo Spirito. 

Quel medesimo Spirito, che ieri ha fecondato il grembo di Maria, ora continua a far scorrere germi divini nel sentimenti umani. Per questa ragione per il credente ogni giorno è Natale: Dio nasce nella nostra carne e si fa energia e forza nelle nostre braccia per costruire un mondo costantemente visitato dalla presenza dello Spirito. 

La fede dei Magi sia un sussidio al nostro credere.