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Il Libro delle Lamentazioni è una dolente elegia su Gerusalemme, sui suoi dolori, sulle disgrazie provocate dalla guerra. Risonanza tremendamente attuale, come attuale è l’invocazione della pace

di Rosanna Virgili

«Desertum fecerunt et pacem appellaverunt», che tradotto è: «Fecero un deserto e lo chiamarono pace». Così scrive Tacito nel De Agricola, con parole che descrivono la realtà tragicamente attuale di diverse città del mondo, ancor oggi distrutte dalle guerre. Ciò che colpisce – oggi più di ieri – dinanzi ai danni della malvagità umana, è la giustificazione che viene data con un cinismo accademico: «La guerra si deve fare per ottenere la pace». 

La contemporaneità rimane violenta e vendicativa come ai tempi di Tacito e, similmente, maschera di ipocrisia le guerre e le loro ragioni. E se gli orrori causati da atti di terrore sono uno spettacolo inumano, non meno agghiacciante è la menzogna che esce dalla bocca di chi torna a farne propaganda. «Niente di nuovo sotto il sole», direbbe cupamente il Qoèlet (cfr. 1, 10). Almeno nel mondo antico, e anche nella Bibbia, non mancano “cronisti” che notano e denunciano la tendenziosità che è trasmessa dai canali ufficiali dei prepotenti di turno. 

Un testo biblico che dice la verità sulla guerra e, in controluce, l’irrinunciabilità della pace, è il Libro delle Lamentazioni. La tenda del suo sipario si apre su Gerusalemme, distrutta dai nemici: «Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! È divenuta come una vedova la grande fra le nazioni; la signora tra le province è sottoposta a lavori forzati. Piange amaramente nella notte, le sue lacrime sulle sue guance. Nessuno la consola, fra tutti i suoi amanti. Tutti i suoi amici l’hanno tradita, le sono divenuti nemici» (Lam 1, 1-2). Il paragone è con una figura femminile che ha perduto il bene dell’amicizia: è rimasta sola nel suo abbandono e nessuno la consola. Tutti quelli che si dicevano amici l’hanno tradita e sono scomparsi. 

Un’immagine che nasconde una denuncia contro i re di Giuda che invece di proteggere la vita dei figli di Gerusalemme sono diventati nemici. Invece di custodire il loro futuro, hanno procurato la morte. Il pensiero va alle madri che nella città piangono di notte per i loro ragazzi rapiti o uccisi a causa della guerra voluta dai monarchi. E nessuno le consola tra «tutti i suoi amanti», tutti i complici di chi diceva di volere il loro bene. 

«Le strade di Sion sono in lutto, nessuno si reca più alle sue feste; tutte le sue porte sono deserte, i suoi sacerdoti sospirano, le sue vergini sono afflitte ed essa è nell’amarezza. I suoi avversari sono suoi padroni, i suoi nemici prosperano, perché il Signore l’ha afflitta per i suoi misfatti senza numero; i suoi bambini sono andati in esilio, sospinti dal nemico» (Lam 1, 4-5). 

Nessuno dei responsabili si è preso cura del destino della gente e tale è la realtà per cui essa è avvolta nel lutto e i suoi bambini sono andati in esilio. Come il Signore aveva dato loro in dono la terra, così adesso li scaccia da quella: «Il Signore è divenuto come un nemico, ha distrutto Israele; ha demolito tutti i suoi palazzi, ha abbattuto le sue fortezze, ha moltiplicato alla figlia di Giuda lamento e cordoglio. Ha devastato come un giardino la sua dimora, ha distrutto il luogo della riunione» (Lam 2, 5-6). 

Invece di dare la colpa a quei nemici – i Babilonesi – che stanno concretamente assediando e mettendo la città a ferro e a fuoco, gli abitanti dell’antica Gerusalemme riflettano sulle proprie infedeltà, presenti agli occhi del Signore: «Il Signore ha compiuto quanto aveva decretato, ha adempiuto la sua parola decretata dai giorni antichi, ha distrutto senza pietà, ha fatto gioire su di te il nemico, ha esaltato la potenza dei tuoi avversari» (Lam 2, 17).

Consapevoli di ciò, essi osservano con maggior dolore come i loro comportamenti sciagurati siano ricaduti come grandine sul loro paese e sulle loro vite. Toccante è l’interrogazione: «A che cosa ti paragonerò, figlia di Gerusalemme? A che cosa ti eguaglierò per consolarti, vergine figlia di Sion? Poiché è grande come il mare la tua rovina: chi potrà guarirti? I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato la tua colpa per cambiare la tua sorte; ma ti hanno vaticinato lusinghe, vanità e illusioni» (Lam 2, 13-14). Sono «i tuoi profeti» (non quelli di Dio!) a essere additati come inadempienti e traditori: avrebbero dovuto rivelare la verità delle loro colpe in modo che potessero cambiare in tempo direzione e si convertissero, così da sfuggire alla disgrazia attuale. Invece hanno detto «cose insulse» come succede ancor oggi con i mille “profeti” dei network venduti alla menzogna, che moltiplicano insulsaggini e nullità a reti unificate, a ogni ora del giorno, per trarre in un fatale inganno tutto il popolo. 

Un squarcio di speranza è, tuttavia, l’esortazione che, pur nell’assoluta desolazione in cui ormai è immersa la città, le viene accoratamente rivolta: «Grida dal tuo cuore al Signore, gemi, figlia di Sion; fa’ scorrere come torrente le tue lacrime, giorno e notte! Non darti pace, non abbia tregua la pupilla del tuo occhio! Alzati, grida nella notte, quando cominciano i turni di sentinella, effondi come acqua il tuo cuore, davanti al volto del Signore; alza verso di lui le mani per la vita dei tuoi bambini, che muoiono di fame all’angolo di ogni strada” (Lam 2, 18-19). Non darti pace, Gerusalemme, finché non otterrai la pace!  

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