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di Giovanni Cucci

Parlare di desiderio a proposito della vita spirituale potrebbe suscitare disagio, ritenendo probabilmente di avere a che fare con il suo più insidioso nemico: se infatti si consentisse libero corso ai desideri cosa potrebbe accadere? Dove si andrebbe a finire? Lasciarsi andare ai desideri potrebbe portare ad una vita senza freni, preda degli impulsi, contraria ai valori scelti. È forse anche per questi motivi che il desiderio è stato guardato con sospetto, interpretando gli ultimi due comandamenti nella linea di: «non desiderare e avrai vita tranquilla».
Il desiderio potrebbe anche rievocare le sofferenze più forti ricevute nella vita, un affetto non corrisposto, un’amicizia tradita, un bel gesto incompreso… una serie di situazioni in cui l’apertura di sé e l’espressione di ciò che si aveva di più caro ha portato ad essere colpiti al cuore con le conseguenze che si possono immaginare: da qui nuovamente la conclusione che una vita senza desideri sia tutto sommato più tranquilla, senza troppi scossoni, imprevisti e dunque in fondo più ordinata e governabile.
Molte proposte spirituali in effetti cercano di attuare questo stato di pace dello spirito: pensiamo al buddismo che mira all’imperturbabilità totale spegnendo il desiderio, considerato come la radice della sofferenza e del male. Si pensi, ancora, al progetto culturale sorto in Europa all’indomani della rivoluzione scientifica, che vorrebbe porre ogni cosa sotto il criterio della ragione, l’unica in grado di imprimere una direzione stabile all’esistenza, garantita dall’esercizio della razionalità tecnica e scientifica, lasciando il resto al campo dell’opinabile, su cui si può dire tutto e il contrario di tutto.
Eppure, curiosamente, proprio dall’illuminismo in poi l’uomo europeo è diventato sempre meno ragionevole: se infatti i desideri vengono concepiti come avversari in conflitto con la ragione, chi vincerà? È proprio vero che si possono eliminare i desideri e le emozioni dalla vita?
Il desiderio non può essere così facilmente cancellato; senza di esso anche la volontà resta indebolita, come si constata ogni volta che desiderio e volontà si trovano in contrasto tra di loro: in tal caso, fino a quando la volontà potrà resistere? E a quale prezzo lo potrà fare? Osserva a questo proposito lo psicologo R. May: «Il desiderio porta calore, contenuto, immaginazione, gioco infantile, freschezza e ricchezza alla volontà. La volontà dà l’auto-direzione, la maturità del desiderio. La volontà tutela il desiderio, permettendogli di continuare senza correre rischi eccessivi. Se avete solo volontà senza desiderio, avete lo sterile, neopuritano uomo vittoriano. Se avete solo desiderio senza volontà, avete la persona forzata, prigioniera, infantile, un adulto rimasto bambino». 
Desideri ed affetti costituiscono l’elemento basilare della vita psichica, intellettuale e spirituale, sono la sorgente di ogni attività; essi sembrano a prima vista costituire un insieme caotico e complicato agli occhi di una razionalità formale, e tuttavia rimandano a realtà fondamentali e necessarie che danno sapore alla vita, perché la rendono interessante, “gustosa”. S. Tommaso associa con acume il desiderio allo stesso atto di vedere, che è di per sé un’operazione selettiva, che si sofferma su ciò che cattura il cuore: «Dove c’è amore, lì si posa l’occhio».
Il desiderio inoltre occupa un posto fondamentale nella stessa rivelazione biblica, a differenza di altre tradizioni religiose, al punto da costituire uno specifico della relazione con Dio: «La Bibbia è piena del tumulto e del conflitto di tutte le forme del desiderio. Certo, è ben lontana dall’approvarle tutte, ma in tal modo prendono tutta la loro forza e danno tutto il suo valore all’esistenza dell’uomo» (Galopin-Guillet). Non si può amare gli altri se non si ama se stessi, accogliendo il patrimonio della propria affettività.
D’altra parte proprio questi timori indicano la potenza e il ruolo che il desiderio riveste nella vita. Esso è veramente in grado di accendere tutto l’essere, di dare forza, coraggio e speranza di fronte alle difficoltà, di dare gusto e colore alle azioni. Spesso proprio la mancanza di desiderio costituisce lo spartiacque tra un progetto riuscito, coerente e duraturo e le mille velleità e teorici “buoni propositi” di cui come si dice è lastricato l’inferno: ciò che li lascia al puro stadio di abbozzo è proprio la mancanza di un reale desiderio di portarli avanti. Lo stesso valore diventa bello e facilmente realizzabile quando è allettante; anche dal punto di vista morale, si possono attuare grandi mutamenti quando sono visti come attraenti per il soggetto: «Un comportamento buono è valido nella misura in cui è il frutto del desiderio della bontà. Più che essere buoni è importante avere la voglia di diventarlo» (Manenti).
Il desiderio, infatti, consente di attuare l’unico tipo di trasformazione che sia durevole nella vita, e cioè di «cambiare nella capacità di cambiare»: ciò consente di riportare ordine nel disordine. In tal caso si opera una radicale ristrutturazione di sé, ponendo le premesse per compiere quello che s. Ignazio chiama «mettere ordine nella propria vita».