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Papa Francesco e il fine vita

«Trattamenti progressivamente più sofisticati e costosi sono accessibili a fasce sempre più ristrette e privilegiate di persone e di popolazioni, ponendo serie domande sulla sostenibilità dei servizi sanitar». Lo ha scritto Papa Francesco nel messaggio che ha inviato a monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e ai partecipanti al meeting europeo della World Medical Association sulle questioni del “fine-vita”.

Il pontefice ha rilevato un «incremento dell’ineguaglianza terapeutica», «ben visibile a livello globale, soprattutto comparando i diversi continenti. Ma è presente anche all’interno dei Paesi più ricchi, dove l’accesso alle cure rischia di dipendere più dalla disponibilità economica delle persone che dalle effettive esigenze di cura».

Poi, ha ribadito l’«imperativo categorico»: «non abbandonare mai il malato», perché «se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura, senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte».

Da Francesco, un richiamo alla “pacatezza” nel dibattito nelle società democratiche per «trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise». «Da una parte, infatti, occorre tenere conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza – sottoliena il Papa –. D’altra parte, lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società. Una particolare attenzione va riservata ai più deboli, che non possono far valere da soli i propri interessi».