Iniziando, con l’aiuto di Dio, un altro ciclo di brevi meditazioni bibliche per questo nuovo anno, vorrei lasciarmi guidare da una sola parola, tanto breve quanto ricca di significato spirituale: “Eccomi!”. Essa esprime il sì della piena disponibilità alla volontà di Dio, il sì che fa dell’uomo un cooperatore di Dio nel compimento del disegno di salvezza, il sì della fede pura e fiduciosa. Al sì dell’obbedienza, l’“Eccomi” aggiunge una nota particolare: quella della prontezza, quasi dell’impazienza. Eccomi è la parola che pronunzia chi vive con l’orecchio sempre teso ad ascoltare la Parola di Dio, la sua voce che lo chiama, e al primo sussurro è pronto, già corre.
Perché nei Paesi asiatici i cristiani, come pure le altre minoranze religiose, possano vivere la loro fede con tutta libertà.
Perché i responsabili politici promuovano con onestà e saggezza il bene comune, mantenendo al centro la dignità della persona.
«Ciao Gesù! Eccoci davanti a te, non manca nessuno. Siamo i bambini senza famiglia. Nel senso che la nostra ci è sconosciuta, assente, spezzata, per dramma o per disperazione, per solitudine o abbandono. Siamo testimoni del dolore e della perdita, ma anche del miracolo che sempre può accadere quando qualcuno - un uomo e una donna - ci raccoglie per stringerci al petto, come pane profumato appena uscito dal forno. Senza dire: Chi «è costui?». Siamo senza famiglia e la difficoltà è la nostra grazia quotidiana; per alcuni è anche la sorpresa di una coppia che si china sulla nostra fragilità per farci vivere quello che di buono e vero nutre la loro vita, senza chiedere nulla in cambio, per puro gesto d’amore che nulla porta se non l’emozione di imparare a chiamarci figli.
Un’altra cosa impara chi ci accoglie: la realtà cambia contorno, tutto prende nuovo valore: sei Tu, Gesù, che ti manifesti ai loro occhi. Sì, perché noi siamo una tua presenza. Siamo il Natale di ogni giorno e chi si china su questa mangiatoia di Betlemme si rialza con uno sguardo diverso, capace di accogliere il destino di un altro».
Cuore divino di Gesù, io ti offro
per mezzo del Cuore immacolato di Maria,
madre della Chiesa,
in unione con il sacrificio eucaristico,
le preghiere e le azioni,
le gioie e le sofferenze di questo giorno,
in riparazione dei peccati,
per la salvezza di tutti gli uomini,
nella grazia dello Spirito Santo,
a gloria del divin Padre.
In particolare secondo le intenzioni del papa.
Con l’auto di grossa cilindrata parcheggia dritto nel posto riservato ai disabili. Sembra quasi un fatto di cronaca, di quelli registrati anche di recente con epiloghi incresciosi. Invece è l’inizio del film Ho amici in Paradiso, opera prima del regista Fabrizio Maria Cortese (uscito al cinema nel febbraio 2016, passato poi in tv su Rai 1 a fine luglio scorso e ora disponibile su Raiplay), ambientato a Roma nella Casa San Giuseppe dell’Opera don Guanella con il coinvolgimento degli ospiti stessi dell’istituto per disabili fisici e intellettivi (prodotto da Golden Hour Films e Rai Cinema con il supporto dell’Opera don Guanella e il patrocinio dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana e la Fondazione Ente dello Spettacolo).
Chi ha studiato l’amicizia nei suoi elementi peculiari, ha notato che essa non può essere esclusiva, proprio perché rivela un aspetto, di sé e dell’altro, differente per ogni amico; in questo senso la ricchezza delle relazioni aiuta a comprendersi, perché l’essere dell’uomo è l’essere della relazione: ci si può conoscere solo in rapporto a un altro cui ci si rivela.
Ingredienti per 4 persone: 1 kg di spinaci o cicoria, 3 uova, 5 cucchiai di parmiggiano, 50 g di farina bianca “00”, 1 pizzico di cannella, olio di semi per friggere, sale
Lessate gli spinaci ben lavati e mondati in acqua salata e, appena saranno cotti, scolateli e strizzateli molto bene. Tritateli con la mezzaluna e amalgamatevi le uova precedentemente sbattute, il parmiggiano grattugiato, la farina, il sale e la cannella in polvere.
Quando avrete ottenuto un composto omogeneo ricavate tante polpette piccole e schiacciate. Scaldate abbondante olio di semi in un tegame e poi friggetevi le polpette finché saranno ben dorate.
Scolatele e fatele asciugare su carta assorbente da cucina.
La luce è la protagonista della Grande Veglia pasquale, tanto da darle il nome stesso di «lucernario». Essa si apre con la benedizione del fuoco nuovo, tratto a uso dell’uomo dalla pietra. Questo fuoco però nel suo essere simbolico non viene dalla terra ma dal cielo; non è infatti un’opera umana ma di Dio.
La simbologia del fuoco che scende dall’alto ritorna nell’evento di Pentecoste, come allusione al dono dello Spirito Santo che accende la testimonianza evangelica degli Apostoli riuniti nel cenacolo con Maria, icona della Chiesa (cfr. At 2). Tuttavia già nel mistero dell’incarnazione ci è dato di contemplare la discesa del Signore come il fuoco che fa lievitare la pasta dell’umanità. Dio facendosi uomo è come un fuoco divorante (cfr. Dt 4,24) che scende sulla terra per illuminare la nostra natura, fatta a immagine e somiglianza di Cristo, per incendiare il nostro cuore con la carità e purificare la nostra mentalità per renderla conforme al Vangelo.
In Germania è sempre più frequente assistere e partecipare a funerali della Chiesa cattolica senza alcun sacerdote o diacono al seguito del feretro. Il fenomeno della diminuzione dei preti e dei religiosi rende il numero delle parrocchie prive di pastori in costante crescita. Ma i vescovi possono istruire in situazioni particolari donne e uomini per assumere la responsabilità del servizio funebre, dopo una preparazione teologica, liturgica e pastorale adeguata. Si tratta sempre di persone conosciute all’interno delle comunità locali, che abbiano svolto attività pastorale e di volontariato attivo. L’esperienza è molto differenziata tra le varie diocesi tedesche, sia per il numero dei sacerdoti in servizio, sia per la presenza sempre maggiore di laici formati che si occupano della vita delle comunità. Il fenomeno, che non è una eccezione liturgica, rientra nell’ambito della pastorale dei laici, confermata sia dalla Congregazione per il clero, sia dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.
Il vescovo Eugenio Corecco, vescovo di Lugano, 25 anni fa ha commemorato l’ordinazione episcopale del venerabile Aurelio Bacciarini nella parrocchia di Lavertezzo dove Aurelio era nato ed è stato battezzato il 9 novembre 1873 il giorno dopo al sua nascita. Durante la Messa mons. Corecco ha sviluppato la sua commemorazione insistendo sull’importanza del sacramento del Battesimo, porta di ingresso nella vita stessa di Dio e vincolo di perenne comunione.
La Parola di Dio sempre ci interpella: è Parola per noi, per la nostra salvezza. Oggi Gesù, Invitato d’onore nel nostro cuore, ha una cosa da dirci (Lc 7,40), ed è una cosa molto importante, l’unica necessaria, come dirà egli stesso durante un altro incontro conviviale nella casa degli amici di Betania (cf. Lc 10,41). E questa cosa molto importante ce la dice con una parabola, che gli è stata suggerita dal contesto in cui si trovava.
L’’incapacità di parlare della morte, della propria morte e di metterla in conto come parte della propria vita è indubbiamente un segno di impoverimento culturale, una autentica crisi di civiltà. La nostra è una società, l’unica al mondo!, incapace di parlare della morte, incapace di prepararsi ad essa.