Perfezionamento personale, sviluppo economico, avanzamento sociale conferiscono al lavoro una dignità unica. Eppure il lavoro non è solo fucina di virtù umane e cristiane individuali e sociali; esso è anche occasione di abbrutimento, di odio e di lotta. L'antico peccato, che ha incatenato la fatica al lavoro, esercita ancora la sua tirannia sul lavoro attraverso la sofferenza, l'oppressione, la rivolta, l'egoismo, l'ingordigia, lo sfruttamento, le divisioni, le contese. «L'uomo che mediante lo sviluppo industriale ha moltiplicato oltre ogni attesa i membri della società, li ha divisi in classi, e, come tutti sappiamo, ha fatto della società non una famiglia, ma un inevitabile campo di lotta, perciò sovente senza concordia, senza pace, senz'amore. I grandi valori del progresso, il pane, la libertà, la gioia di vivere, sono in perpetua contestazione, se il grande torrente di ricchezza, che scaturisce dal nuovo lavoro conquistatore e produttore, è confiscato da un duplice egoismo: quello che ripone nei beni temporali il solo e maggiore bene dell'uomo, anzi fa dell'uomo fine supremo a se stesso, errore ideologico, materialista; e quello che fa programma costitutivo della vita comunitaria la lotta radicale, esclusivista, fra le varie classi fra loro per il monopolio della ricchezza: errore sociale ed economico» (Paolo VI).
Il significato di san Giuseppe lavoratore
Potenti forze disgregatrici operano, dunque, nel campo del lavoro. Come nel campo del racconto evangelico, anche in questo il nemico ha seminato la sua zizzania. Come potrà il lavoro guarire da questo cancro progressivo e liberarsi dal veleno, che ne insidia la naturale finalità di essere fonte di sviluppo individuale e sociale?
Da molti secoli il grande riformatore san Benedetto ricorda all'umanità qual è l'antidoto che può salvare l'attività umana dal dissolvimento, che è proprio di tutte le realtà terrestri. In una brevissima formula, «ora et labora, prega e lavora», è compendiato il segreto, che garantisce al lavoro il suo valore e la sua nobiltà. Il lavoro esige la dimensione religiosa.
Cristo non ha redento solamente delle anime disincarnate, ma ha redento l'uomo nella sua totalità, anima e corpo. L'attività umana non è, dunque, esclusa dalla salvezza, perché Gesù è diventato solidale con noi in tutto: «Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha amato con cuore d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato».
Ebbene, nessuno tra gli uomini, dopo Maria, è stato tanto vicino alle mani, alla mente, alla volontà, al cuore di Gesù, quanto san Giuseppe. Come bene affermò Pio XII, san Giuseppe è stato colui nella cui vita è maggiormente penetrato lo spirito del Vangelo. Se questo spirito, infatti, affluisce dal cuore dell'Uomo-Dio in tutti gli uomini, «è pur certo che nessun lavoratore ne fu mai tanto perfettamente e profondamente penetrato quanto il Padre putativo di Gesù, che visse con Lui nella più stretta intimità e comunanza di famiglia e di lavoro». Di qui l'invito permanente dello stesso Pontefice rivolto ai lavoratori: «Se voi volete essere vicini a Cristo, Ite ad Joseph (Gen 41, 55), Andate da san Giuseppe! L'umile artigiano di Nazaret non solo impersona per Dio e la Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie».
Questo umile artigiano di Nazaret, che nel nascondimento ha con il suo duro lavoro consentito a Gesù «di crescere robusto e pieno di sapienza» (cfr. Lc 2, 40), continua ancora a stagliarsi gigante nella storia dell'umanità per insegnare a tutti che non è la differenza dell'attività a definire la grandezza dell'uomo, ma, al contrario, tocca all'uomo rendere grande ciò che fa, attraverso la nobiltà dell'animo e l'esercizio di autentiche virtù.
di Angelo Forti
In tutte le culture del mondo i nomi hanno sempre un significato simbolico: si può riferire ad una luogo, ad una qualità morale. Gli antichi romani hanno espresso questo significato con un giuoco di parole Nomen omen, cioè il nome è un presagio. Anche nella Bibbia molti personaggi entrano in scena e sono spiegati revocando vicende che hanno acquisito un valore simbolico. Abramo significa “Il padre è stato esaltato”; Emanuele, riferito a Gesù “Dio con noi”, Gesù chiama Simone con un nuovo nome “Kefa”, pietra, e Pietro diventa “pietra”, simbolo della stabilità. Anche il nome Giuseppe significa “colui che aggiunge”.
Rimanendo nel filone del simbolo, possiamo leggere le iniziali del suo nome come la sintesi di un capitale morale che egli ha aggiunto anche alla nostra vita con l’esercizio di questa qualità morale e con la sua intercessione. Se consideriamo le lettere iniziali di Joseph scopriamo un’aiuola un eccellente splendore di qualità morali.
San Giovanni Paolo II nella sua Esortazione apostolica su San Giuseppe “Redemptoris custos” ha scritto: «San Giuseppe è l’uomo dell’interiorità, l’uomo capace di vivere dell’interiorità, uomo capace di vivere una profonda contemplazione, in quotidiano rapporto con il mistero divino».
Contemplare significa avere gli occhi fissi sulla missione assegnata alla nostra vita. In Giuseppe lo sguardo si faceva invocazione per comprendere.
San Giuseppe e Teresa… A prima vista lui quasi in secondo piano nella vita di Teresina, ma la realtà è opposta fin dall’inizio. Nel marzo del 1873 Teresina, due mesi, pare destinata a morte prematura come i due piccoli Giuseppe suoi fratellini, e la mamma racconta in una lettera che nella disperazione si è inginocchiata davanti a un’immagine di san Giuseppe con una preghiera estrema: esaudita! Giuseppe presente nella vita di Teresina.
Nella ricorrenza del centenario dell’aggregazione della Pia Unione locale del Transito di San Giuseppe alla sede primaria di Roma Trionfale, Santa Domenica, piccolo, quanto stupendo centro calabrese, collocato a trecento metri sul mare, sopra Scalea, alle pendici del Pollino, nel mese di luglio si esalta con la festa del suo patrono san Giuseppe. Il fatto, anzitutto, nello studio dell’architetto Antonello Lucchese, ricercatore quanto mai qualificato che citiamo espressamente: «Dopo la morte dell’ultimo arciprete don Giuseppe La Greca, con l’arrivo del nuovo curato don Giuseppe Pontieri di Cassano, si verificò un certo fermento nella parrocchia, con diverse iniziative: una di queste fu l’istituzione della Pia Unione del Transito di San Giuseppe per aggregarla alla primaria di Roma (San Giuseppe al Trionfale).
Non si mangia più insieme: i tempi accelerati, frenetici e sfalsati della famiglia non permettono più a un nucleo, a una comunità di ritrovarsi interrompendo il lavoro alla metà del giorno, né alla fine della giornata di riunirsi per la cena, per stare intorno alla tavola e condividere quanto sostiene la vita materiale. Insieme a questo alimento concreto tuttavia si condivide anche un altro alimento più importante, quello affettivo e spirituale, una comunione vitale d’affetti che ha la sua manifestazione suprema nell’ultima cena.
L’arte pittorica ci descrive gli episodi della vita di S. Giuseppe con differenti suggestioni, dettate da fantasie artistiche, capaci di trasmettere chiari messaggi spirituali e forti cariche emozionali.
Un episodio del nostro santo che ricorre spesso nei quadri e negli affreschi è quello ultimo del transito, ossia: il suo passaggio dalla vita terrena a quella eterna. Da sempre il racconto pittorico inquadra S. Giuseppe disteso con accanto la Madonna e Gesù. Non mancano angeli che osservano sospesi nello spazio o vicini al letto, pronti ad accogliere la sua anima. L’episodio non viene mai drammatizzato e il dolore che si avverte sui volti delle figure è un dolore raccolto, intimo, perché è certo il passaggio del padre putativo al cielo.
Nel cuore di Milano sorge un meraviglioso edificio di culto dedicato al grande Patriarca. Le fonti segnalano già dal 1503 la presenza di un “Luogo Pio di San Giuseppe”. Nel 1516 venne consacrato il capolavoro architettonico attuale: progettato da Francesco Maria Richini, segnò l'inizio del barocco milanese.
Qualche anno fa, in occasione dell’anno sacerdotale, indetto daPapa Benedetto XVI nel 2010, per gli associati alla Pia Unione di San Giuseppe avevamo assunto l’impegno di un’iniziativa nel poter adottare, anche spiritualmente, un seminarista in modo da accompagnarlo con la preghiera negli anni di preparazione al sacramento del sacerdozio.
Il monastero di San Giuseppe di Puimisson, nella diocesi e provincia di Montepellier, Francia, ha ospitato quest’anno il XII Simposio di giosefologia, che ha visto circa duecento partecipanti, in rappresentanza di una quindicina di centri studi su san Giuseppe, specie europei e latinoamericani. Lo hanno organizzato i fratelli e le sorelle che costituiscono la Famiglia di San Giuseppe, una nuova forma di vita religiosa monastica nata poco più di 30 anni or sono.
La sera del 25 settembre l’arcivescovo di Montpellier, monsignor Carré, ha presieduto la concelebrazione che ha inaugurato i lavori. Nel dopo cena i direttori dei vari centri si sono presentati, illustrando brevemente il lavoro per far conoscere la vocazione e la missione di san Giuseppe.