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Per il terremoto di Messina 1908, don Guanella offerse la sua opera. Per il terremoto delle Marsica, il 15 gennaio del 1915, nella zona di Avezzano, don Guanella andò di persona e soccorrere i terremotati e, soprattutto, con don Bacciarini, presente nei luoghi della desolazione, organizzò un’assistenza sul luogo e ospitò nella sue case di Roma Trionfale e san Pancrazio centinaia di profughi soprattutto anziani e orfani. Un’isola di benessere la costituì anche a Ferentino, dove decine di terremotati hanno potuto trovare assistenza materiale e morale. L’esperienza paurosa del terremoto è drammatica poiché è un rovesciamento della vita.

Tutte le sicurezze svaniscono. Il freddo, la neve, il disagio delle comunicazioni, la precarietà e i disagi dei terremotati hanno minato ulteriormente la precaria salute di don Guanella che morì proprio nell’anno del terremoto del territorio abruzzese. Anche la Pia Unione del Transito di san Giuseppe si è fatta prossimo alle vittime del terremoto donando alcune miglia di euro al vescovo di Rieti e di Ascoli Piceno. Di fronte alla desolazione di case che vanno sottosopra, gli oggetti dispersi tra le macerie, tetti divelti la nostra offerta è stato una goccia nel mare, ma preziosa poiché ha espresso un sentimento di partecipazione a sofferenze senza prezzo quali sono i legami spezzati e il vuoto delle persone care.

La sensibilità di don Guanella di fronte alla sofferenza non aveva confini. In occasione di una frana che ha cancellato il paese di Tartano all’imbocco della Valtellina don Guanella ha scritto un volumetto dal titolo Il montanaro, in cui lui, figlio della montagna, racconta i valori della vita paesana, le tradizioni e i vantaggi dell’attaccamento al proprio territorio. Questi sconvolgimenti, questi muri che si sbriciolano, questi tetti che crollano ci pongono di fronte al rovesciamento inaspettato di ogni pretesa di sicurezza. Come se i muri, crollando, ci dicessero che non basta la tecnica, l'umana sapienza, a garantirci la salvezza. Dov'è Dio? Dov'è l'uomo. Sono due domande che aspettano una risposta.

La prima professione di ateismo è nata dal positivismo scientifico di Voltaire in occasione del terremoto di Lisbona 1755. Il vescovo di Ascoli Piceno al funerale delle vittime del 24 agosto ha paragonato il terremoto all’azione di una aratro che solca la terra provocando una lacerazione, una ferita. Il solco è paragonabile a due labbra aperte per accogliere un seme per una nuova vita. Il vescovo di Rieti ha scritto che sembra esserci un filo comune dietro ciascuno di questi rovesciamenti: l'incontro tra le persone. E sembra riflettervi l’eco di un altro incontro quello di Gesù che annuncia: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro».

Nelle ore e nei giorni successivi il terremoto si affacciava la domanda: «Dov'è Dio?». «Una domanda che non può trovare risposta se prima non si stabilisce dov'è, o meglio dov'era, l'uomo. Perché il Signore lo si trova dove s'incontrano gli uomini. Forse per questo papa Francesco ha detto poco e incontrato molto nella sua visita ad Amatrice, Borbona, Accumoli e Arquata. E privilegiando i bambini e gli anziani è sembrato alludere anche al bisogno di ricucire lo strappo tra le diverse età».