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Riflessione del prof. Mario Melazzini

«Le persone con disabilità possono essere felici». A Mario Melazzini, già primario ospedaliero, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e oggi Presidente  nazionale dell’Aisla, l’associazione per la ricerca sulla Sla, abbiamo chiesto una riflessione sul vivere odierno nella disailità, a partire anche dalla sua esperienza personale. «Nella nostra società vivere con una malattia grave o con una disabilità - così esordisce Melazzini - crea angoscia e si fa di tutto per allontanarne il pensiero, o nel caso in cui dovesse arrivare davvero, per allontanare la situazione.

E' un po’ ciò che è successo all’inizio anche a me, pur essendo attento ai valori, alle persone deboli e fragili. Ho sempre considerato questo fatto di vivere con una condizione di malattia, che comportasse una grave disabilità, non coniugabile con una vita che potesse continuare e fosse degna. Paradossalmente mi sono scontrato anche con quelle che potevano essere le mie idee». «In effetti, ho capito che ciò è solo un pregiudizio - soggiunge Melazzini - un preconcetto che noi ci costruiamo perché non vogliamo ammettere che la malattia o la disabilità fanno parte del nostro percorso di vita. Noi dobbiamo essere messi in condizione di poter continuare il percorso di vita. Quindi, dobbiamo riprogrammarci, ma nello stesso tempo le istituzioni devono garantirci il percorso nel miglior modo possibile».     
Anche il rapporto medico-paziente deve essere fondato non solo sull’alleanza terapeutica, secondo Melazzini, ma deve essere costruito «su un processo di condivisione, di aiuto reciproco, una compassione nel condividere assieme il dolore arrivando ad avere una maggiore consapevolezza del dolore. Un paradosso da cancellare consiste nel fatto che le persone non disabili ipotizzano che una vita in condizioni del genere non possa essere degna di felicità. Invece, le persone con disabilità sono felici e fanno della loro situazione un valore aggiunto. è proprio il non conoscere o il non voler conoscere a dar vita a conclusioni che possono condurre a decisioni drammatiche e affrettate da parte di coloro i quali sono portatori di gravi malattie: condizioni di fragilità perché sanno a priori che il sistema non gli garantirà una risposta o che la società li isolerà.     
Un Paese con 2.600.000 casi di disabilità - conclude  Melazzini - non si ritiene competitivo perché la persona è vista come costo e non come risorsa. La persona con disabilità, al contrario, è una risorsa alla luce anche della legge 18 del 2009, che ratifica la convenzione Onu dove si afferma che chiunque deve essere  libero di poter partecipare in maniera integrale, sinergica, in uguaglianza nella società».