Caro baby sette miliardi! Non so se tu sia una bimba o un bimbo, se sia indiano o cinese, nato in una metropoli o in un villaggio, o se invece non sia nato nella pampa o sotto un igloo, o in una piccola isola sperduta, o in fuga sotto una tenda. Non so se tu sia sano o malato o portatore di handicap. Non so se ad abbracciarti ci siano tutti e due i tuoi genitori o solo la mamma. Non so se diranno che tu e i tuoi coetanei siete troppi o troppo pochi. Oggi questo non mi importa.
Questo mondo in cui arrivi è un po’ complicato e non è ospitale per tutti. Non siamo stati così bravi a preparartelo bene. I capi dei popoli più ricchi e potenti sono attorno a un tavolo ad arrovellarsi su come andare avanti senza combinare altri disastri, e anche noi ci interroghiamo sul tuo domani.
Però oggi io voglio dirti che tu sei unico e diverso da tutti gli altri, che sei un dono meraviglioso, che sei un miracolo, che il tuo spirito vivrà per sempre, e quindi sei benvenuto. Noi ti auguriamo che quando sorriderai qualcuno risponda al tuo sorriso e quando piangerai qualcuno ti accarezzi. Che tu possa andare a scuola e non soffrire la fame. Che qualcuno risponda saggiamente alle tue domande e ti incoraggi nelle tue iniziative e nell’assumere le tue responsabilità. Che tu possa voler bene agli altri, crescere, lavorare e vivere con la tua famiglia, con tanti amici, in un popolo e in un mondo libero e in pace. Che tu possa capire che la tua vita ha un senso pieno aldilà della morte.
Perché tu sei nato per questo. Il tuo Creatore e Padre ti ha fatto per questo. Noi faremo la nostra parte perché questo diventi possibile; tu datti da fare, perché il tuo futuro dipenderà anche da te e toccherà a te dare il benvenuto a baby otto miliardi.
Editoriale di Radio Vaticana, 5/11/2011
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Più di mille persone, entro il 2011, in Belgio, saranno uccise perché questa è la loro volontà. Per la fine dell’anno saranno più di un migliaio i pazienti che si saranno sottoposti all’eutanasia.
«Segno – afferma Luciano Eusebi, professore Ordinario alla Facoltà di Giurisprudenza all'Università Cattolica di Milano interpellato da ilSussidiario.net – che nel Paese la deriva eutanasica pronosticata si è verificata; la morte in certi casi, si è trasformata in una sorta di automatismo».
La notizia è stata riportata dal quotidiano belga "Le soir". Secondo il giornale si è arrivati alla previsione partendo da una semplice considerazione: da gennaio 2011, 85 persone l’anno sono spirate con la “dolce morte”. Si tratta prevalentemente di uomini (54 per cento) e di persone che hanno un’età compresa tra i 60 e i 79 anni. La maggior parte - l’80 per cento - è affetta da un tumore che, nel 92 per cento dei casi, li porterà alla morte, anche a breve termine. Il 52 per cento delle somministrazioni eutanasiche, infine, viene effettuato a domicilio o in alcune case di cura per anziani. «Il dato – spiega Eusebi - indica come le ragioni del “no”, che abbiamo sempre cercato di sostenere nei confronti di atteggiamenti eutanasici, fosse giustificato. Siamo sempre stati preoccupati, infatti, che tutto si potesse risolvere, in ultima analisi, in un sorta di “rottamazione” dei soggetti deboli».
Eusebi entra nello specifico: «È condivisibile l’attenzione ai trattamenti terapeutici proporzionati e ad evitare quelli oltranzisti». Ma superare questa soglia genera gravi conseguenze; «porta a considerare i soggetti deboli una zavorra. Non è un caso che la ricerca psicologica sottolinei come il cosiddetto “diritto a morire” si trasformi, sia rispetto al malato che alla sua famiglia, in un pressione psicologica per liberare il contesto sociale dal peso della sua condizione. Questo trend rende possibile il passaggio dall’eutanasia consensuale a quello automatico».
C’è da chiedersi se in Italia un rischio del genere sia scongiurato. «La legge sul fine vita – riflette Eusebi - dà rilievo ad eventuali dichiarazioni anticipate, certo; ma nell’ambito di un giudizio che resta fondato sulla responsabilità del medico e su una valutazione sulla proporzionalità delle terapie. Chi si aspettava una legge che scardinasse i principi di diritto vigenti sull’impraticabilità di una relazione medico-paziente finalizzata alla morte ne è rimasto deluso. La legge, quindi, dovrebbe metterci al riparo, almeno nelle sue affermazioni teoriche, da derive come quella belga».
Ma la legge non basta. «Questi trend, nella pratica, sono da arginare in una dimensione formativa e culturale; e, ancor più, di sostegno ai contesti familiari. Aiutando la famiglia si evitano derive di abbandono, perché questa costituisce la prima dimensione di accoglienza laddove sussistano condizioni di precarietà esistenziale».
Per i malati terminali e i loro cari, alcuni supporti fondamentali già esistono: «Abbiamo reti di hospice e centri di cure palliative in cui si può seguire il malato liberandolo dalla sofferenza e consentendogli, anche in condizioni di malattia avanzate, di mantenere una capacità di riflessione e dialogo. Tutto ciò non è neppure eccezionalmente costoso. Tuttavia, è ovvio che si tratti di un impegno per la società».
Secondo il professore, tuttavia, non ci sono alibi: «le risorse ci sono. Una società dell’accoglienza è possibile». Ma, preliminarmente, si impone una riflessione: «Che modello di democrazia e convivenza civile intendiamo adottare? Quello in cui la persona conta per la sua efficienza materiale per cui, quando questa non è più recuperabile, la sua stessa esistenza perde di significato; o quello secondo cui la persona vale in quanto tale, e non per quello che è in grado di fare?».
Nella religione ebraico-cristiana c’è una parola che ricorre di frequente: la parola esodo. Questo termine indica, movimento, cammino, ricerca. Sappiamo che la stessa vita è un cammino nel tempo e in questo «viaggio della vita non si danno strade in piano, sono tutte o in discesa o in salita».In questa stagione anche le cronache televisive parlano di esodo, di strade torride, tappezzate di macchine, sotto un cielo senza un alito, strade percorse dalla voglia del nuovo, del diverso, di nuove emozioni.Le emozioni sono proporzionate alle attese dell’anima. Le vacanze non un momento di sospensione della nostre quotidiane attività, è un tuffo nel tempo libero, la ricerca di cieli diversi, di panorami colorati, ma anche un momento di ricarica delle nostre energie.Questo vale per noi oggi, ma anche ai tempi di San Giuseppe e di Gesù.
Oggi, in tanti, in troppi settori della vita pubblica, stiamo navigando a vista: la scuola, la disoccupazione, i giovani e, non ultimo, gli anziani. A loro si pensa giocando tutto sulla piattaforma delle pensioni, sul numero sempre più crescente delle persone anziane e la ripercussione sul piano finanziario per le spese sanitarie, ma non ci si preoccupa che per le persone attempate c’è un vertiginoso abbassamento della qualità della vita.
Non è sufficiente dare anni alla vita, prolungando così la vecchiaia, ma è urgente preoccuparsi di dare vita agli anni.
Iniziamo oggi il mese di giugno che avrà al suo centro la solennità della nascita della Chiesa, la Pentecoste e ci farà approdare proprio alla fine del mese, il 30 giugno, alla vigilia del Sacro Cuore di Gesù, il focolare della carità divina che attira come una calamità le qualità positive della nostra esistenza cristiana.
Mi fa piacere che il grande itinerario in preparazione al 7° incontro internazionale delle famiglie del 2012 la prima tappa del percorso farà sosta proprio a Nazareth, perché «Il mistero di Nazareth è l’insieme di tutti i legami che passano nel tessuto delle relazioni familiari: la famiglia con gli sposi, i genitori e i figli, le relazioni educative, la religiosità i sogni del domani e i problemi di oggi.
Idealmente, come ogni mese, questa sera vogliamo essere davanti a te, appunto nella tua casa di Nazareth, questa tavolozza dei colori delle virtù umane e cristiane, per ammirare la bellezza delle tue relazioni con Maria, la tua sposa, e con Gesù, quel fanciullo che Dio dall’eternità aveva pensato di affidare alle tue braccia robuste e generose, ma soprattutto affidarlo al tuo cuore di padre, specchio di virtù umane in modo da insegnare a questo Dio che si fa bambino a imparare a vivere la nostra condizione umana: la gioia del vivere e il duro mestiere del vivere. Nella vita come nel giorno c’è il buoi della notte e lo splendore affascinatamente gioioso della luce del giorno.
I nostri occhi in questa sosta a Nazareth sono curiosi, avidi di luce per cogliere nei vostri sentimenti, i tuoi, quelli di Maria e di Gesù, quei semi di speranza per far lievitare la nostra vita familiare con la linfa stessa che ha alimentato la vostra esistenza.
Tutti diciamo che i giovani sono la speranza dell’umanità, della chiesa, di ogni famiglia. I giovani, quindi, sono al centro delle nostre attenzioni con il desiderio nell’anima di offrire loro dei fecondi semi di speranza.
Anche la canonizzazione di don Guanella è una stagione di seminagione di valori vitali fecondati dalla grazia divina e dall’esempio e dalla testimonianza di don Guanella.
Lanciamo una proposta di solidarietà. In una stagione di disagio economico come la nostra, di futuro precario e di disagio, vogliamo collaborare, contribuire a sostenere le spese per il viaggio a Roma in occasione della canonizzazione di don Guanella. Pensiamo ai giovani italiani, ma anche a quelli dei paesi poveri, dove è presente l’Opera don Guanella. Ogni offerta sarà come una goccia che copre le spese di qualche kilometro del viaggio verso Roma.
è un’esperienza singolare che lascerà un segno indelebile nell’animo di questi giovani e offrirà loro un patrimonio di speranza che inonderà di luce riflessa la loro comunità di appartenenza. Offriamo al Comitato organizzatore un contributo per soddisfare il desiderio di essere presenti.
«Continuamente gli muore un mondo, che a se stesso non somiglia, un mondo fatto non di colori, ma di brusii». Sono due versi da «Profilo di un cireneo» che Karol Wojtyla ha scritto nel 1958, quattro mesi prima di diventare vescovo di Cracovia. Era una Via Crucis che ha per protagonista Simone di Cirene, il contadino che tornando dai campi fu chiamato dai soldati ad aiutare Gesù sulla via del Calvario. Per il futuro pontefice, Simone rappresenta l’uomo contemporaneo che, accanto a Gesù, si fa compagno di viaggio nell’aiutare e nel soccorrere il prossimo in difficoltà. Quattordici sono i personaggi che il Cireneo è chiamato a soccorrere. Sono tutti nostri contemporanei. S’incomincia con il melanconico. Lo schizofrenico, un attore, una ragazza delusa in amore, i bambini, due operai, un intellettuale, un emotivo, un volitivo, un cieco, al quale sono riferiti i due versi iniziali. Un pellegrinaggio con Gesù nell’oceano della sofferenza umana.
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È in corso in questi giorni il dibattito sul disegno di legge riguardante le “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (DAT), che darà la possibilità di esprimere per iscritto le proprie volontà in merito ai trattamenti sanitari da accettare o rifiutare in caso di futura perdita di coscienza. Il confronto tra i rappresentanti di diversi schieramenti etici e politici si fa ogni giorno più vivace. Ma al contempo cresce anche un certo disorientamento: qualcuno chiede che il testo venga riscritto, altri lo ritengono inutile, o perché troppo restrittivo della libertà individuale, o al contrario perché pericoloso.
Mi pare che i principali dubbi riguardino tre questioni.
È proprio necessaria una legge, o non era meglio regolarci come si è fatto finora?
La Pia Unione del Transito di San Giuseppe,
può essere da voi aiutata:
✔ innanzitutto sostenendola spiritualmente con
la vostra preziosa preghiera a favore di tutti gli iscritti;
✔ inoltre, impegnando parte del vostro tempo per la preghiera a sostegno dei sofferenti e degli agonizzanti;
✔ contribuendo economicamente alla realizzazione di concreti progetti di bene: borse di studio; un lettino, un pane e un libro; bambini consacrati a San Giuseppe;
✔ e in mille altri modi che il vostro buon cuore
vi suggerirà.
L’Istituto è Ente giuridico può quindi ricevere Donazioni e Lasciti testamentari (RR.DD.2.7.1931 e 11.1.1932).
Per evitare possibili contestazioni si consiglia:
✔ per Donazioni di denaro o di beni mobili e immobili, rivolgersi direttamente alla Direzione Pia Unione del Transito, Via B. Telesio 4/b - c.p. 6021 - 00195 Roma telefono 0639737681 - fax 0639740055 - email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
✔ per testamenti: se trattasi di Legati si può usare la seguente formula: “Io... lascio alla Provincia Italiana della Congregazione dei Servi della Carità, Opera Don Guanella, per la Pia Unione del Transito di San Giuseppe, a titolo di Legato, la somma di Euro... o l’immobile sito in... (oppure) gli immobili siti in...” (luogo, data e firma leggibile per esteso). Se si vuole nominare la Pia Unione erede universale, scrivere: “Io... annullando ogni mia precedente disposizione, nomino mio erede universale la Provincia Italiana
della Congregazione dei Servi della Carità, Opera Don Guanella, per la Pia Unione del Transito di San Giuseppe” (luogo, data e firma leggibile per esteso).
N.B. Consigliamo di depositare il testamento,
scritto di propria mano, presso un notaio di fiducia. .
Per informazioni: tel. 0639737681