Mario Sgarbossa un seminatore di voglia di vivere in santità
di Mario Carrera
Il nostro amato e stimato collaboratore Mario Sgarbossa il 27 settembre 2020, carico di anni, di benemerenza, è ritornato a Dio per riconsegnargli un’esistenza carica non solo di parole scritte, ma di frutti saporosi.
Mario apparteneva alla grande tradizione religiosa veneta. I luoghi della sua terra d’origine, la terra della sua infanzia ha inciso profondamente nel suo cuore sentieri convergenti verso la strada maestra della sua esistenza, dove egli ha camminato, vissuto ed edificato sul filone dell’autenticità e della sua fede, vissuta riversando nel tessuto delle sua esistenza il carisma della comunicazione nell’impegno a donare alla parola di fede il riflesso della trasparenza che donava il sigillo della credibilità con uno stile umile e arguzia. In una stagione di cambiamento di mentalità e di rinnovamento del linguaggio ha saputo innestare la chiarezza delle verità evangeliche sul tronco antico del patrimonio della fede. Ha scoperto nelle pieghe della vita dei santi quei filoni luminosi della santità presenti nel tessuto della fede che traspare nella quotidianità del nostro esistere. Nel volume sui santi Mario Sgarbossa ha coltivato e frequentato i campi della santità fiorita nel recinto dell’ortodossia.
È vero che con la moda del «fai da te» i santi canonizzati hanno perso il fascino di un tempo, ma non possiamo dimenticare che nell’arco di venti secoli, nonostante i peccati degli uomini, le beghe interne della Chiesa, le guerre fratricide dell’Europa e «il buon granello di senape affidato alla terra delle colline di Galilea è diventato un albero che tutti vediamo e Mario Sgarbossa ha saputo cogliere i frutti saporosi della santità» ed è proprio la santità che dà splendore e fascino alla Chiesa.
Sgarbossa ha cercato attraverso lo scritto e la testimonianza di catturare l’attenzione anche dei così detti “lontani”, in modo che il fascino, il profumo della santità, questa innata nostalgia di Dio potesse attrarli alla luce della fede.
Personaggio a lui caro, in questo palazzo della santità, costruito e popolato dai santi riconosciuti dalla Chiesa, è Giovanni Papini, un ateo vissuto nei primi decenni del 1900, parlando della sua conversione al cattolicesimo, raccontava: «Tra le chiese innumerevoli che si dicono fedeli interpreti di Cristo, scelsi quella cattolica perché essa rappresenta veramente il tronco maestro dell’albero, l’instancabile e operosa sorgente, ho cercato nelle sue opere d’arte il cammino verso il cielo perché possedeva tra “già detto” la bellezza dell’intimità e lo slancio verso una integrale sublimazione di tutto l’essere umano».
Papini ha scrutato la sua coscienza e da quel grembo di autenticità è fiorita la volontà di abbracciare la fede in Gesù, di godere la tranquillità di camminare anche nelle turbolenze della vita con la certezza che Gesù non di abbandona nella sobrietà di uno stile di vita che dona felicità e che va ricercata non nella superficialità piuttosto in una esistenza vissuta nella fragilità quotidiana nella consapevolezza di aver bisogno di essere contaminati dalla santità di Cristo, perché chiudeva Giovanni Papini la sua Vita di Cristo con questa preghiera: «Abbiamo bisogno di Te, Signore, di Te solo e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire, per noi tutti che soffriamo la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso».