Le parrocchie della periferia romana impegnate nel contesto multietnico. Interpellata da questa realtà, la comunità cristiana risponde con iniziative semplici e concrete

di Alba Arcuri

C'è un viavai di bambini e mamme con gli hijab (i caratteristici copricapo colorati) in alcune parrocchie della periferia romana. Con gli zainetti sulle spalle e ancora con il grembiule addosso, alcuni ragazzini entrano nelle salette dell’oratorio, si siedono ai tavoli, aprono astucci e quaderni. Ad attenderli ci sono alcuni “maestri” volontari. Fare i compiti insieme, trovare il significato delle parole più difficili, ripetere ad alta voce la lezione di storia: queste le attività. Poi viene anche il momento dello svago: qualcuno ha portato le caramelle o una piccola merenda da condividere.

È il doposcuola organizzato in alcune parrocchie romane, come Santa Maria del Buon Consiglio al Quadraro, San Giuseppe Cafasso a Torpignattara, e da quest’anno l’Assunzione di Maria, zona Cecafumo, tutte nella periferia Sud-Est della Capitale. Una iniziativa aperta a tutti i bambini, dalle elementari alle medie, e perfino per i ragazzi delle superiori, nata ormai da qualche anno per rispondere ai bisogni educativi sempre più crescenti.

Aperta a tutti, ma di fatto l’utenza è in buona parte straniera, soprattutto proveniente dal Bangladesh, in un quadrante romano dove vive una folta comunità bengalese. I bambini spesso arrivano qui senza sapere una parola di italiano; e sono le stesse maestre, talvolta, a suggerire questa opportunità.

Padre Gaetano Saracino, sca-
labriniano e parroco di San Giuseppe Cafasso, ci racconta come questa esperienza risponda a quella richiesta di papa Francesco di essere “chiesa in uscita”.

«Non si tratta di un diversivo della vita della Chiesa, un diversivo all’attività pastorale o alle dinamiche all’interno della parrocchia. Papa Francesco va ad indicare un paradigma dell’azione della Chiesa. Ci sta dicendo com’è, cosa è, cosa fa la Chiesa, cioè guardare al di là del proprio naso. Un’azione che potrebbe sembrare semplice, ma è determinante. I migranti sono la realtà che abbiamo di fronte, qui a Torpignattara, e che di fatto consegna a noi questa sfida. Per noi, dunque, questo è un modo non di fare, ma di essere Chiesa».

Padre Gaetano ha una particolare sensibilità per il mondo dei migranti, anche perché appartiene alla congregazione dei missionari scalabriniani. Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), dal 1876 vescovo di Piacenza, nel 1887 fondò la Congregazione dei Missionari di San Carlo Borromeo, che si occupava principalmente della cura degli emigrati italiani, quando a emigrare eravamo noi. È stato canonizzato nel 2022.

«La nostra è una parrocchia ordinaria – prosegue il parroco – che ha tutte le attività pastorali delle altre parrocchie. Però siamo qui, nel quartiere Torpignattara-Quadraro: il territorio parla da sé. I fatti dicono già tanto: abbiamo qui di fronte la scuola più multietnica d’Europa, e questa è una delle zone europee a più alta densità di stranieri, soprattutto provenienti dal Bangladesh. Sono di religioni diverse tra loro (musulmani, induisti) e diverse dalla nostra. Ma ciò non ha impedito il dialogo».

Padre Gaetano continua a raccontare la nascita dell’iniziativa e come si svolge il dialogo con questa comunità. L’occasione sono stati i bambini; il luogo l’oratorio, che ha sempre aperto le porte a tutti: uno spazio aperto per una partita di pallone, per fare due chiacchiere per le mamme che li accompagnano. E allora invece che accogliere i bambini solo per le attività di gioco, è nata l’idea di dare loro un sostegno nei compiti, da qui il doposcuola. Importante, secondo il racconto di padre Gaetano, è stato il coinvolgimento delle mamme, non solo di quelle straniere, seppur numerose nel quartiere.

«L’oratorio non è più il posto dove si arriva, si “deposita” il bambino e poi si viene a riprenderlo dopo l’attività. Da cosa nasce cosa, si creano relazioni con il territorio», spiega ancora padre Gaetano. In un quartiere in cui non mancano le tensioni, spesso additato come ghetto da cui fuggire, il parroco elenca i momenti di condivisione: la visita al Tempio Indù, lo scambio di visite con gli imam della vicina Moschea. «Ci guadagniamo tutti. Ci guadagna la comunità cristiana che vive nel territorio e che non si è “snaturata”, ma sta vivendo concretamente l’oggi».

Ci spostiamo di poco, attraversando le casette basse del vecchio Quadraro, un quartiere nato intorno alla ferrovia nel periodo del secondo dopoguerra, a ridosso di uno degli antichi acquedotti romani della zona. Un acquedotto i cui resti furono usati come abitazioni di fortuna fino agli anni ‘80, come mostrano i resti di piastrelle ancora visibili. Camminando si raggiunge l’altra parrocchia, Santa Maria del Buon Consiglio, sulla Via Tuscolana. Il parroco è il giovane don Daniele Natalizi. Qui, due giorni a settimana, le salette dell’oratorio si popolano di bambini delle elementari, quasi tutti stranieri, che si mescolano ai ragazzi che arrivano per giocare a calcio o a biliardino o a quelli che arrivano per il catechismo. L’iniziativa si chiama “Aiuto allo studio” e l’intento è lo stesso: venire incontro ai bisogni educativi dei bambini. Grazie a un protocollo firmato con la vicina scuola elementare “Damiano Chiesa”, una quarantina di bambini segnalati dalle maestre arrivano per fare i compiti, ripetere la lezione e conversare in italiano.

Tra i volontari ci sono insegnanti in pensione, ma anche donne o uomini ancora impegnati nel lavoro che si ritagliano almeno un giorno a settimana per dedicarsi ai ragazzi. Un gruppo che sta crescendo. Prossimo obiettivo sarà il coinvolgimento delle mamme, anche attraverso un corso di italiano organizzato per loro. E così, nell’attesa dei figli, facendo due chiacchiere tra i passeggini dei più piccoli, i bambini che schiamazzano e il sacerdote che passa a salutare, si costruisce piano piano l’integrazione.