Furono i falegnami a dedicare al padre putativo del Signore la prima chiesa nell’Urbe. Ben presto accompagnata da numerose altre, carissime al popolo romano
di Paolo Biondi
Una nube grigiastra si levò al centro del Foro romano, accompagnata da un boato sordo. Mancava un minuto alle tre pomeridiane del 30 agosto 2018, l’aria era torrida. La nube che si levava a oscurare il cielo azzurro nascondeva la zona della Curia Iulia, sede dell’antico Senato romano e centro della Roma imperiale.
Ai romani si fermò il cuore e non bastò a consolarli la notizia che subito si diffuse con il potente allargarsi di quella nuvola: a crollare era stato il soffitto della chiesa di san Giuseppe dei Falegnami, la splendida chiesa che dal 1597 ha sostituito la memoria di san Pietro sul carcere Mamertino. Era un giovedì, la chiesa era chiusa al pubblico e ad ammirare lo splendido soffitto a cassettoni in legno dorato con sculture della Natività e dei santi Pietro e Paolo c’era solo la telecamera di sorveglianza, che ha ripreso inclemente tutta la scena. Fosse accaduto solo due giorni più tardi, il crollo avrebbe sommerso lo stuolo di persone che partecipa ai matrimoni. Un evento drammatico, parzialmente compensato dal fatto che un prodigioso restauro ha permesso di ricostruire tetto e soffitto in appena due anni e mezzo, con una Messa di ringraziamento il 19 marzo 2021, nel giorno di san Giuseppe.
Si è così riscoperta una chiesa che ha un’altra particolarità: è la prima a Roma dedicata a san Giuseppe. Ha veramente dell’incredibile il fatto che, per sedici secoli, nessuna chiesa a Roma sia stata dedicata al padre putativo di Gesù, ma è in linea con il suo essere rappresentato sempre in secondo piano, a iniziare dai Vangeli in poi.
Anche la nascita di questa chiesa, in un posto pur tanto prestigioso e centrale in Roma, è quasi casuale. Il luogo è più che prestigioso: qui sorgeva il primo carcere di Roma, fin dagli esordi della sua fondazione e nei primi due secoli e mezzo di vicende monarchiche, reso famoso dal prestigio dei personaggi che ha “ospitato”. Il carcere Mamertino si mantenne famoso anche nella storia della nascente comunità cristiana di Roma. Narrazioni, mai confermate con certezza, vogliono che qui venissero carcerati anche san Pietro e san Paolo; il primo vescovo di Roma vi avrebbe battezzato i suoi carcerieri, i santi Processo e Martiniano, usando la sorgente che zampilla nel punto più profondo del carcere e che è ancora possibile vedere. Da queste vicende la fondazione di una chiesa detta di san Pietro in Carcere, chiesa che venne affittata nel 1540 dalla Congregazione dei Falegnami.
Si deve solo al fatto che l’edificio divenne troppo angusto per la Congregazione, se nel 1597 si decise di abbatterlo e di sostituirlo con uno nuovo, questa volta dedicato a san Giuseppe, in quanto patrono dei falegnami. L’edificio fu disegnato da Giovan Battista Montano (1534-1621) e concluso da Giovanni Battista Soria (1581-1651). Nel 1602 vennero terminate la facciata e la copertura dell’edificio (la stessa crollata nel 2018), ma si dovette aspettare l’11 novembre 1663 per la consacrazione.
Se la venerazione di san Giuseppe ha dovuto quasi incredibilmente attendere fino alla fine del sedicesimo secolo per avere una chiesa dedicata, in verità c’è da dire che la venerazione dei romani per il padre putativo di Gesù è molto più antica ed ha avuto una sede a poche centinaia di metri di distanza da San Pietro in Carcere. Nel 382, quando san Girolamo tornò a Roma, portò con sé le reliquie del manto di san Giuseppe e del velo della Madonna e ne affidò la conservazione alla chiesa di sant’Anastasia al Palatino. Perché proprio Sant’Anastasia? Era questa la chiesa inaugurata il 25 dicembre del 326, quando papa Silvestro vi celebrò il Natale alla presenza dell’imperatore Costantino. Era la prima volta che il Natale veniva celebrato in Occidente e qui, per secoli, si mantenne la tradizione che il papa celebrasse la Messa dell’aurora nel giorno di Natale.
Se San Giuseppe dei Falegnami è la prima chiesa dedicata allo sposo di Maria a Roma, per vedere nascere la seconda non si dovettero attendere secoli: nello stesso 1597 fu eretta una cappella nel convento delle Carmelitane a Capo le Case, cioè ai limiti del centro abitato dell’Urbe, in una zona che allora era appena valorizzata dalla costruzione della via Sistina ad opera di Sisto V. L’origine claustrale di questa cappella è ancora visibile dalle quattro finestrelle con grate, due per lato, che si affacciano sull’altare maggiore e dalle quali le Carmelitane seguivano le funzioni.
Legata a un convento femminile, delle agostiniane, anche la successiva chiesa dei santi Giuseppe e Orsola. edificata insieme con il convento nel 1684 da Camilla Orsini Borghese in via Vittoria, a Campo Marzio, e divenuta poi conservatorio per le ragazze, successivamente sconsacrata e definitivamente affidata al vicino Conservatorio di Santa Cecilia che la trasformò in sala per concerti nel 1839. Nel 1734 venne eretta, a Trastevere, San Giuseppe della Lungara, chiesa alla quale venne annesso un convento affidato alla Congregazione dei Pii Operai. Andando avanti nel tempo, nel 1884 fu iniziata la costruzione della chiesa di san Giuseppe di Cluny in via Poliziano, nel quartiere Monti, annessa al convento delle Suore di San Giuseppe. La consacrazione avvenne nel 1900 con il convento, poi trasformato in casa per ferie di pellegrini. Col Novecento iniziò l’edificazione di chiese parrocchiali che accompagnarono lo sviluppo urbanistico della città. La prima fu la chiesa di san Giuseppe a via Nomentana (1904), seguita da San Giuseppe al Trionfale, fatta edificare da san Luigi Guanella (1909) e ben nota ai lettori de La Santa Crociata. Poi la chiesa di Maria Assunta e san Giuseppe a Primavalle (1932), San Giuseppe Artigiano al Collatino (1958), per finire con San Giuseppe all’Aurelio (1970).