2/*  L’adolescente formula le prime idee personali e i primi desideri, contrapponendosi agli adulti. Questi devono comprendere le sue reazioni, ma mantenere salde le regole

di Ezio Aceti

Approfondiremo in questo articolo il pensiero degli adolescenti, la loro dimensione intellettiva che rappresenta una fonte inesauribile per alimentare i loro comportamenti, alcune volte molto idealisti, altre volte molto trasgressivi e problematici. Abbiamo già parlato negli articoli precedenti di uno studioso dell’intelligenza, Jean Piaget (1896-1980), che ha avuto il grande merito di corredare i suoi studi con più di duemila esperimenti e perciò ha formulato affermazioni che, per quanto riguarda lo sviluppo intellettivo, sono in massima parte confermate dalla realtà.

Abbiamo visto che, durante lo sviluppo del bambino, Piaget distingue vari stadi intellettivi:

Intelligenza senso-motoria

È quello stadio che raggiunge un bambino di due anni. La sua intelligenza è legata agli organi di senso e al movimento. Per questo a un bambino piccolo regaliamo giocattoli con colori vivaci, con forme chiare, così che possa sviluppare la sua intelligenza grazie alla manipolazione degli oggetti. Oggi in tutte le scuole materne viene effettuata la psicomotricità, una forma di ginnastica corporea ed educativa che collega il pensiero al movimento.

Pensiero preoperatorio

Dai tre ai sei anni il bambino sente un enorme bisogno di connettere gli oggetti che sono presenti nell’ambiente. È l’età dei puzzle, delle costruzioni. Il bambino collega continuamente parte dei giochi e degli oggetti. Tale bisogno è talmente forte che spesso sfida gli adulti, come al supermercato, quando vuole uscire dal carrello per toccare tutte le scatolette che ci sono sugli scaffali. Il suo bisogno di toccare le cose lo induce a fare capricci e scenate pur di uscire dal carrello; allora noi abbiamo due soluzioni: o uscire dal supermercato o comperare al bambino patatine, brioche, cioccolatini... pur di tenerlo buono!

Pensiero operatorio

Dai sette agli undici anni il pensiero acquista capacità astratte e operatorie. Cos’è infatti un problema di matematica, se non la realtà rappresentata in simboli? Il bambino imparerà a collegare questi simboli e a operare astrattamente, perché il pensiero è diventato reversibile e riesce a muoversi tra il concreto e il concettuale.

Pensiero ipotetico deduttivo

È tipico dell’età adolescenziale, che comporta la capacità di formulare idee e ipotesi. Essendo queste le prime immagini mentali autonome dell’adolescente, vengono vissute in modo eccessivo e conflittuale. Per lui la realtà è ideale, esaltata e drammatica. A questa età, quel cantante, quel calciatore è “tosto”, è in gamba, è il più forte, il massimo che ci sia, oppure non vale niente, “fa schifo”. Le vie di mezzo non ci sono e tutto viene vissuto in modo intenso.

Questo modo di ragionare ha due conseguenze:

- positiva: le emozioni piacevoli vengono vissute in modo energico e le prime “cotte”, le prime attrattive, vengono percepite in tutta la loro intensità.

- negativa: le esperienze ne-
gative o le piccole paure vengono spesso drammatizzate in modo esasperante. Purtroppo una delle cause di morte degli adolescenti è il suicidio, che viene consumato non sempre per motivi seri e disperati, ma spesso per problemi apparentemente banali. Se prendiamo una donna di trent’anni e una ragazza di quattordici, entrambe con un foruncolo in mezzo alla fronte, per la donna ciò ha poca importanza, mentre per la ragazza rappresenta spesso un vero problema.

Chiediamoci ora quale deve essere l’atteggiamento educativo dei genitori, quali comportamenti devono mettere in campo per facilitare l’armonizzazione del modo di pensare degli adolescenti.

Sappiamo che il pensiero dell’adolescente sta alla base della sua aggressività e della costruzione della sua identità. Piccoli cambiamenti vengono vissuti come fonte d’angoscia, mentre il bisogno di autonomia è molto forte e si manifesta in continue discussioni con i genitori, che sfociano spesso in litigi anche turbolenti. Cosa bisogna fare?

Occorre saper costruire un rapporto educativo corretto e ri-
spettoso della personalità del figlio. Martin Buber (1878-1965),
uno dei più grandi maestri della pedagogia, indica in modo chiaro e semplice l’atteggiamento che nei rapporti con i figli devono assumere i genitori; a loro è richiesto di:

– mettersi nei panni dell’altro;

– comunicare all’altro ciò che si sente dentro di sé;

– prevenire (se si tratta di un bambino) o contrattualizzare (se è un adolescente e un adulto) e poi lasciarlo libero.

Questo “mettersi nei panni dell’altro” non significa lasciar fare al figlio tutto ciò che vuole, bensì ascoltarlo profondamente e presentargli le regole che sentiamo utili per la sua crescita responsabile. Occorre inoltre tenere presente che spesso il ragazzo manifesta in un linguaggio “scurrile” la crisi che sta vivendo, senza però voler realmente offendere i genitori; è il suo bisogno di autonomia che viene così espresso.

È importante che i genitori accolgano tale aggressività comunicando il proprio stato d’animo di tristezza, senza però colpevolizzare l’adolescente, ma al contempo fornendo in modo chiaro e sereno quelle norme e regole che ritengono più idonee. Può sembrare una cosa assurda, ma spesso la dinamica che si stabilisce è questa: il ragazzo tende a trasgredire le regole, ma al contempo ne ha un enorme bisogno. I genitori allora debbono saper tollerare la trasgressione e allo stesso tempo fornire sempre norme e indicazioni precise.