Il tema della speranza, centrale nel Giubileo 2025, trova in don Guanella un testimone e un maestro. Rileggendo i suoi opuscoli si trovano preziose perle di esperienza

di don Gabriele Cantaluppi

Il soffio della speranza don Guanella l’ha respirato fin dalla sua infanzia, dal verde intenso della sua Valle Spluga, allo stesso tempo segno della vita che si rinnova ad ogni stagione e simbolo della Risurrezione, che è il fondamento della fede cristiana. Vogliamo raccogliere qualche sua parola su questa virtù, ricorrendo alle sue Operette, gli opuscoli popolari dove in vari passaggi egli tratta della speranza. 

In un commento al catechismo dal titolo Vieni meco (1883), per raffigurare la speranza usa l’immagine del bambino che alza le braccine a cercare conforto dai genitori: «Il fanciulletto si ristora nel guardare nel volto i genitori e dire: Papà, papà! Mamma, mamma! Come si allieta allora il cuor nostro in pensare a Dio e guardare al paradiso». 

Ne Il pane dell’anima (1883), un triplice commento alla Messa domenicale, si avvale della medesima immagine del bambino e si chiede: «Domanderete: chi inspira all’infante questi affetti? E vi rispondo: potete dubitarne? È Dio, è Dio. Ed ora lo domando io a voi: chi mette in cuor vostro l’inspirazione di ricorrere a Dio sempre, di affidarvi a lui totalmente? Vi rispondo che è Dio».

Ma la speranza è ancora più gradita quando richiede sacrificio. Ancora in Vieni meco usa la medesima immagine del piccolo, ma questa volta per esaltare il valore di una speranza che sa attendere a lungo: «Ma non capite che poco merita il bambino a gridar: Mamma! quand’ella viene con la mela, ma che assai commuove quando, la madre né comparendo né scorgendola in alcun luogo, il fanciullo tuttavia pena sospirando: Mamma, mamma!». 

È stato dunque indovinato il titolo di un opuscolo, pubblicato nel 1992, che definiva la missione di don Guanella come Una storia chiamata speranza, perché effettivamente egli viveva le sue giornate, in mezzo alle vicende che si susseguivano, sperando totalmente nel-
la Provvidenza divina. E al termine della sua vita, come testimonia don Leonardo Mazzucchi, suo fedele discepolo, era solito ripetere: «Si speri sempre nella Provvidenza del Signore, che tutto provvede. Le case che si cominciano con niente son quelle che prosperano». Anche don Umberto Brugnoni, attuale Superiore generale dei Servi della Carità, in una sua recente lettera ricorda che il Fondatore, con la sua vita, il suo pensiero e le sue opere, ci comunica il coraggio di sperare affidandoci alla Provvidenza, spronandoci a vincere la tentazione della rassegnazione pessimista di fronte alle problematiche del mondo attuale.

Nonostante che l’impegno caritativo di don Guanella fosse ammirato e apprezzato da molti, egli non fu immune dalle difficoltà. La sua vita fu provata da numerosi ostacoli, da continui problemi economici e addirittura da resistenze da parte di autorità civili ed ecclesiastiche. Le sue opere spesso si scontravano con la diffidenza o l’indifferenza, ma egli non si lasciò mai scoraggiare e continuò per la sua strada con determinazione, profondamente convinto che la carità animata dalla speranza fosse la via principale per avvicinarsi a Dio. Il suo carisma spirituale lo conduceva a sentirsi sempre guidato dalla mano di Dio e a non temere le difficoltà materiali, anche nel momento in cui sembravano insormontabili. E quindi così scriveva nel già ricordato Il pane dell’anima: «La carità nostra è regina che ha per sorelle due guide celesti, la fede e la speranza cristiana».

Di fatto, per noi cristiani la speranza non è semplice ottimismo; non è la convinzione che una cosa andrà senz’altro a finire bene, ma è certezza che tutto ha valore indipendentemente da come andrà a finire. Siamo sicuri che il Signore è presente nello scorrere della vita, ci accompagna, e un giorno tutto troverà compimento nel Regno di Dio, regno di giustizia e di pace.        

Perché – è sempre don Gua-
nella a ricordarcelo – noi ci appoggiamo alla parola di Gesù che, nell’orazione del Padre nostro, ci ha insegnato le invocazioni con cui egli stesso si rivolge al Padre, e quindi «è mai possibile che non ci ascoltiate quando vi dirigiamo la preghiera di Gesù vostro divin Figlio?».

Un altro suo commento al catechismo, dal titolo Andiamo al Paradiso (1883), è pure ricco di intuizioni profonde sulla virtù della speranza, tra le quali ne scegliamo qualcuna. 

Dapprima don Guanella sot-
tolinea che la speranza si manifesta in frequenti invocazioni, per il desiderio di essere accolti da Dio come figli: «Sospira poi a lui con tenerezza: Padre! Padre! Che se ti sfoghi con affetto, il Padre tuo scenderà a sollevarti da terra al paradiso». Ma occorre anche cercare con insistenza il senso di ciò che accade, pur se faticoso e se a volte la ricerca non sempre ha l’esito sperato: «È scritto che l’uomo deve guadagnarsi il pane col sudor della sua fronte. Perciò recati a campo del lavoro e là persevera ancora quando sei trafelato di sudore, perché il Padre ti vede».

La speranza è celebrata dalla comunità cristiana e trova forza nel giorno del Signore, la domenica, dove il Padre «imbandisce banchetti spirituali di benedizione, e per segno di immenso amore offre il sacrificio di sé». Ma poi la medesima speranza si trasmette come scintilla alla missione quotidiana della Chiesa, che la vive nel «portare il pane agli infelici, l’assistenza agli infermi, la consolazione agli afflitti». La speranza, sembra affermare don Guanella, si mantiene come fuoco vivo nelle opere quotidiane di carità.

Speranza e carità si uniscono strettamente quando la Chiesa, madre piissima e santa, «si accosta pietosa al letto della tua infermità, ti porge nella grazia di un sacramento i meriti di Gesù e intanto ti rassicura così: Io ho pregato per te, o figlio, e Gesù che è il padre tuo ha promesso che tu o guarirai per essere figlio più buono, ovvero, morendo, egli ti riceverà nella casa del paradiso». È sempre il pensiero del paradiso atteso che stimola i nostri passi su questa terra, sicuri che nulla di quanto compiamo di bene quaggiù andrà perso: «Tu per mezzo della fede guardi a Dio e per mezzo della speranza attendi a guadagnare il paradiso».